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mercoledì 5 agosto 2015

Prima casa. La cessione all'ex coniuge evita la decadenza

5 agosto 2015


Sentenza della CTR di Roma in tema di vendita infraquinquennale in caso di cessazione del rapporto di coniugio

Deve ritenersi illegittima la revoca dell’agevolazione “prima casa”, se la vendita infraquinquennale è avvenuta nell’ambito degli accordi di separazione consensuale tra coniugi.
In particolare, l’Ufficio non può pretendere le imposte in misura ordinaria dalla moglie che, in ragione della fine del matrimonio, ha ceduto al marito l’intera proprietà dell’immobile per soddisfare le esigenze abitative del medesimo.
La revoca delle agevolazioni fiscali in caso di vendita infraquinquennale dell'immobile acquistato con l’agevolazione “prima casa” sottende alla ratio di scongiurare intenti elusivi e risparmi d'imposta: circostanze che non si riscontrano quando la stessa cessione sia l'effetto di un accordo separazione tra i coniugi.

È quanto emerge dalla sentenza n. 2331/04/15 della Commissione Tributaria Regionale di Roma.
Nel caso esaminato, l'Ufficio finanziario contestava il fatto che il 50% dell'immobile acquistato in comunione dei beni era stato successivamente ceduto, con altro atto oneroso stipulato prima dei 5 anni dal primo, da un coniuge all'altro, che ne diveniva proprietario al 100%. Ciò avveniva nell’ambito della separazione consensuale; e infatti nel ricorso al Tribunale si disponeva che “per quanto attiene la casa coniugale, acquistata in comproprietà dai coniugi, il signor […] si obbliga ad acquistare il 50% di proprietà della signora […], che dal suo canto si obbliga a vendere, al prezzo di 50.000,00 euro con accollo del residuo mutuo”. Stando così le cose, i giudici tributari della Capitale hanno ritenuto di poter annullare la rettifica dell’AdE.

La CTR capitolina, confermando la gravata decisione della CTP, ha motivato che, ai sensi degli art. 150 ss. C.c., mentre nel caso di separazione giudiziale è il provvedimento del giudice che disciplina compiutamente gli effetti patrimoniali della separazione, nel caso di separazione consensuale è prevista l'omologazione da parte del giudice degli accordi stabiliti dai coniugi (art. 158 C.c.). Nel caso di specie, “poiché la cessione di quota dell'immobile comune, con un corrispettivo preventivamente stabilito, era prevista nell'ambito del ‘Ricorso per la separazione consensuale dei coniugi’ diretto al tribunale civile di Roma e datato 16.9.2009 (cfr. p. 3: 2III. Per quanto attiene la casa coniugale, acquistata in comproprietà dai coniugi, il sig. [...] si obbliga ad acquistare il 50% della proprietà dalla sig.ra. [...], che dal suo canto si obbliga a vendere al prezzo di euro 50.000,00 e con accollo del residuo mutuo entro e non oltre la data del 15 dicembre 2009), non appare dubbio che tale cessione rientri nel contesto degli accordi stabiliti dai coniugi. La circostanza che nel verbale del 10/02/2010 dinanzi al presidente f.f., e nella sentenza di omologa del 22/02/2010, non si faccia esplicito riferimento alla cessione della abitazione coniugale (risultando barrata la voce relativa alla assegnazione della ‘casa familiare’) non esclude che tale cessione costituisca uno dei punti imprescindibili dell'accordi di separazione, essendo evidente che, quando fra due coniugi diventa ‘oggettivamente improseguibile la convivenza’ la principale questione che deve essere affrontata, sotto il profilo patrimoniale, è quella della proprietà e dell'assegnazione della abitazione acquistata in comunione.
Appare pertanto illegittima la revoca delle agevolazioni da parte dell'amministrazione finanziaria, effettuata in quanto la cessione della propria quota da parte della sig.ra. [...] al marito è avvenuta entro i cinque anni dall'acquisto. La ratio della previsione di revoca, nel caso di vendita infraquinquennale, appare quella di sanzionare operazioni elusive, che si potrebbero verificare ove il dichiarato uso abitativo non sia dimostrato dal mantenimento della proprietà dell'immobile per un congruo periodo di tempo: in un caso come quello di specie, le imprevedibili vicende dei rapporti personali fra coniugi non possono determinare la revoca delle agevolazioni fiscali, quando oltretutto l'immobile acquistato per l'esigenza di coabitazione familiare venga trasferito integralmente a uno dei coniugi, per soddisfare le esigenze abitative di questi. Sussistono pertanto i presupposti per il riconoscimento delle agevolazioni sopra richiamate, in conformità ai rilievi della corte costituzionale nella sentenza n. 154/1999”.
L’Ufficio finanziario è stato condannato al pagamento delle spese processuali.

Redditometro: la Cassazione interviene Sentenza n. 15289 del 21/07/2015

5 agosto 2015


Sentenza n. 15289 del 21/07/2015

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15289 del 21/07/2015 ha stabilito importanti principi in tema di redditometro.
Nel caso di specie l'Agenzia delle Entrate, ai sensi dell'art. 38, commi 4 e 5, D.P.R. 600/73 ed al D.M. 10-9-1992, aveva accertato sinteticamente il reddito di esso contribuente rispettivamente per gli anni 1997 e 1998. Tale accertamento si fondava sulle manifestate disponibilità economiche, e, in particolare, sull'acquisto (avvenuto nel febbraio 1998) di una azienda (tabaccheria), sul possesso di autovettura di grossa cilindrata e sulla disponibilità di immobili di residenza secondaria.

A sostegno del ricorso il contribuente aveva eccepito: che la tabaccheria era stata acquistata in parte in contanti e in parte con cambiali, e poi successivamente ceduta con accollo in capo all'acquirente degli effetti cambiari non ancora estinti; che gli immobili erano di esclusiva proprietà dei figli; che l'autovettura era di valore esiguo; che era tutore della madre ed usufruiva dei ratei di pensione della stessa; che nel 1997 aveva ricevuto in eredità delle somme di denaro.

La CTP accoglieva il ricorso.
La CTR invece accoglieva l'appello dell'Ufficio. Affermando che la determinazione del reddito effettuata sulla base del c.d. "redditometro" dispensava l'Amministrazione da qualunque ulteriore prova rispetto ai fatti indice di maggior capacità contributiva individuati dal redditometro stesso, e poneva a carico del contribuente l'onere di dimostrare che il reddito presunto sulla base del redditometro non esisteva o esisteva in misura inferiore.

Ciò posto, la CTR rilevava che, in caso di disponibilità di immobili, l'effettiva capacità contributiva doveva essere individuata non solo in base alla mera proprietà degli stessi, ma valutando anche le spese sostenute a vario titolo per il loro mantenimento; che le somme di cui alla pensione della madre erano vincolate e finalizzate alla tutela della pensione; che l'autovettura e l'azienda risultavano intestati a esso contribuente, il quale non ne aveva dimostrato l'appartenenza a terzi o l'utilizzo da parte di altre persone.

Avverso detta sentenza proponeva ricorso per Cassazione il contribuente, sostenendo tra le altre cose che l'acquisto dell'azienda non poteva essere considerato tra gli indici di capacità contributiva previsti dal D.M. 10-9-1992, sicché non si era verificata alcuna inversione dell'onere probatorio.
Il motivo, secondo i giudici di legittimità, era infondato.
L'art. 38 del D.P.R. n. 600 del 1973 prevedeva infatti, nel testo vigente ratione temporis, da un lato (comma 4), la possibilità di presumere il reddito complessivo netto sulla base della valenza induttiva di una serie di elementi e circostanze di fatto certi, costituenti indici di capacità contributiva connessi alla disponibilità di determinati beni o servizi ed alle spese necessarie per il loro utilizzo e mantenimento (in sostanza, un accertamento basato sui consumi).
Nel procedere alla detta determinazione sintetica del reddito l'Ufficio doveva dunque valutare (secondo le modalità indicate nel D.M. 10-9-1992) la disponibilità di beni e servizi descritti nella tabella allegata al D.M., potendo comunque utilizzare anche elementi e circostanze di fatto indicativi di capacità contributiva diversi da quelli di cui alla tabella.
Dall'altro (quinto comma), l’Ufficio poteva esaminare le "spese per incrementi patrimoniali", cioè quelle sostenute per l'acquisto di beni destinati ad incrementare durevolmente il patrimonio del contribuente, dovendo essere aggiunta ai valori ottenuti in base alla disponibilità dei beni o servizi specificamente indicati l'eventuale quota relativa ad incrementi patrimoniali.
Correttamente, pertanto, l'Ufficio, in linea con le su riportate disposizioni, aveva proceduto alla determinazione sintetica del reddito del contribuente sommando ai valori di beni specificamente indicati nel citato decreto (autovettura e residenza secondaria) anche la spesa per incremento patrimoniale correlata all'acquisto dell'azienda.

Con altro motivo di ricorso il contribuente, denunziando violazione e falsa applicazione dell'art. 38, comma 5, D.P.R. 600/73, nonché dell'alt 1523 cc, sosteneva d’altro canto che nell'acquisto di azienda una parte del pagamento del prezzo era avvenuta non in contanti ma tramite cambiali, e quindi tramite una promessa di pagamento in futuro di una somma di denaro al momento non posseduta, sicché la spesa effettiva da assumere quale indice di capacità contributiva era solo quella effettivamente sostenuta, e non l'intero prezzo indicato nell'atto di compravendita.

Il motivo, in questo caso, era fondato, non essendo sufficiente, ai fini dell’accertamento sintetico, l'acquisto di un bene, ove lo stesso fosse stato pagato in parte in contanti ed in parte con emissione di cambiali.
Tale acquisto, infatti, per la detta parte (e cioè per la parte del corrispettivo pagata con cambiali) non comporta un'attuale erogazione di spesa per incrementi patrimoniali e, dunque, non costituisce effettiva ed attuale espressione di capacità economica. Il pagamento di un corrispettivo con cambiali non può infatti essere assimilato ad un pagamento in contanti, in quanto le cambiali costituiscono una promessa di pagamento futuro di una somma di denaro di cui il soggetto al momento dell'emissione non dispone (in senso conforme, sia pure per diversa ipotesi, Cass. 19030/2014).

Nell'ipotesi (quale quella di specie) di spese per incrementi patrimoniali, l'accertamento deve, infatti, basarsi sulla diretta dimostrazione della effettiva erogazione della spesa - costituente il fatto noto, manifestazione di ricchezza - da parte del contribuente in un determinato momento o arco di tempo (uno o più anni d'imposta), salva restando, ai sensi dell'art. 38 D.P.R. 600/73, comma 6, la prova contraria; occorre, in definitiva, dimostrare l'effettivo sostenimento di una spesa in uno o più periodi d'imposta ed applicare, quindi, il metodo di accertamento sintetico in relazione agli anni interessati; ne consegue, nella fattispecie in esame, che l'acquisto dell'azienda, pagata in parte in contanti (lire 140.000.000) e in parte (lire 349.500.000) con emissione di cambiali, non poteva essere per l'intero prezzo (lire 490.000.000), come invece risulta avere fatto l'Amministrazione, posta a base dell'accertamento sintetico.