Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

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Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
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Ricorsi Tributari

lunedì 25 maggio 2015

“Falsi dirigenti”, vizio di sottoscrizione





È trascorso ormai quasi un mese dal deposito della sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale, che rischia di incidere sull’operatività degli Uffici finanziari per la possibilità di vedersi annullati migliaia di avvisi di accertamento sottoscritti da dirigenti decaduti, nonché successivi ruoli e cartelle di pagamento. La decisione della Consulta arriva, peraltro, in un momento particolarmente delicato per il Fisco: basti pensare agli atti di accertamento con adesione o ai provvedimenti irrogativi di sanzioni connessi alla procedura di voluntary disclosure, il cui perfezionamento rappresenta un introito sicuro per le casse erariali. Ci si chiede ora se a “farne le spese” possano essere non solo gli accertamenti sottoscritti da falsi dirigenti, ma anche gli atti connessi alla voluntary disclosure.
Molto è stato detto sulla sentenza n. 37/2015 della Corte costituzionale e sulle sue possibili conseguenza; come prevedibile, le posizioni dei contribuenti e dei loro difensori, chiamati a “inventare” delle strategie processuali efficaci e vincenti, differiscono da quelle di totale chiusura del Fisco.
Da un lato, infatti, Fisco e Governo, infatti, al fine di evitare una incontrollata “pioggia di ricorsi”, hanno caldamente invitato i contribuenti a non spendere inutilmente i loro soldi per ricorsi definiti addirittura “vergognosi”, asserendo una presunzione - invero ormai vetusta - di legittimità dell’atto amministrativo, per cui l’eventuale vizio di sottoscrizione sarebbe superato dalla riferibilità dell’atto all’Ufficio emittente.
Dall’altro, le associazioni dei contribuenti che minacciano class action o istanze di autotutela a tutto campo, procedure di accesso agli atti, nonché azioni di risarcimento danni, anche morali, subiti da parte di cittadini che, a cagione di cartelle di pagamento che potrebbero anche a distanza di anni essere considerate inesistenti, hanno visto fallire le proprie aziende o sono stati costretti a vendere i propri immobili.
Leggi anche
- “Dirigenti Agenzia delle Entrate nomina irregolare solo indirettamente rilevante sugli atti impositivi”;
- “Norma salva-dirigenti illegittima in attesa di soluzioni”;
- “Norma salva dirigenti illegittima validi gli atti emessi in passato”;
- “Norma salva dirigenti illegittima quali riflessi sui contenziosi con le Entrate”;
- “Agenzie fiscali, incostituzionali i reiterati incarichi dirigenziali temporanei”;

Nel trambusto che ne è derivato, diventa determinante porre dei punti fermi e dare ai contribuenti delle certezze.
Contrariamente a quanto caldeggiato dal Fisco, i ricorsi non sono inutili. Tutt’altro. Il vizio di sottoscrizione può e deve essere fatto valere. Occorre semplicemente delimitarne il perimetro di rilevanza. E per far ciò, la risposta non può che arrivare dalla disamina del dato normativo di riferimento.
Nessun dubbio con riferimento alla possibilità di sollevare il vizio di sottoscrizione relativamente agli accertamenti concernenti imposte sui redditi, stante l’espressa disposizione in tal senso dell’art. 42, commi 1 e 3, D.P.R. n. 600/1973.
Avanzano i primi dubbi con riferimento agli avvisi di accertamento per IVA e registro non ravvisandosi rispettivamente nei D.P.R. n. 633/1973 e n. 131/1986 una disposizione simile a quella contenuta nel D.P.R. n. 600/1973. Né sembrerebbe che si possa fare riferimento all’art. 56 del decreto IVA per suffragare la rilevanza del vizio di sottoscrizione anche al comparto delle imposte indirette, atteso che detta disposizione, nel richiamare implicitamente il D.P.R. n. 600/1973 e con esso l’art. 42, stabilisce che “le rettifiche e gli accertamenti sono notificati ai contribuenti mediante avvisi motivati, nei modi stabiliti per le notificazioni in materia di imposte sui redditi”, operando dunque un rinvio solo con riferimento alla notificazione, non anche al contenuto dell’avviso.
Parimenti, la falcidia della nullità dovrebbe risparmiare atti connessi alla voluntary disclosure, procedura che, come chiarito anche dalla circolare n. 10E del 13 marzo 2015, si perfeziona mediante il versamento integrale (in un’unica soluzione o dell’ultima rata in caso di pagamento dilazionato) delle somme dovute in base all’invito al contraddittorio, all’accertamento con adesione o all’atto di contestazione o provvedimento di irrogazione delle sanzioni, con riferimento ai quali sembra alquanto improbabile la possibilità, per il contribuente, di far valere il vizio di sottoscrizione.
Pensiamo, ad esempio, all’atto di adesione: questo si perfeziona con il pagamento della totalità delle somme dovute entro 20 giorni dalla sottoscrizione dell’atto, a nulla rilevando che quest’ultimo sia stato sottoscritto da un “falso dirigente”. Pertanto, il contribuente che, ad esempio, abbia optato per il versamento rateale non potrebbe mai decidere di omettere il pagamento delle rate successive alla prima asserendo che l’adesione non sarebbe valida perché sottoscritta da un funzionario privo dei necessari poteri. Un tale comportamento determinerebbe il mancato perfezionamento della procedura di voluntary disclosure, con la conseguenza che il contribuente sarebbe impossibilitato a ripresentare la richiesta e l’Ufficio, potrebbe, in deroga ai termini ordinari di accertamento, notificargli un nuovo avviso di accertamento e un nuovo atto di contestazione con la rideterminazione della sanzione, entro il 31 dicembre dell’anno successivo a quello di notificazione dell’atto di contestazione o dell’invito a comparire o a quello di redazione dell’atto di adesione.
Preme tuttavia precisare che la definizione derivante dal perfezionamento della voluntary disclosure ha natura di accertamento parziale. L’Ufficio potrebbe pertanto sempre esercitare la propria azione accertatrice nel caso in cui, dopo il perfezionamento, in relazione alle medesime annualità oggetto della procedura di collaborazione volontaria, dovesse rilevare ulteriori maggiori imponibili non evidenziati dal contribuente.
Il che significa che solo eventualmente e in seconda battuta al contribuente destinatario di un avviso di accertamento “post voluntary” potrebbe essere data la possibilità di difendersi in sede contenziosa adducendo, tra gli altri vizi, il difetto di sottoscrizione dell’avviso di accertamento.
Con riferimento, invece, ai provvedimenti irrogativi di sanzioni, l’art. 16, D.Lgs. n. 472/1997 non contiene una norma analoga all’art. 42, D.P.R. n. 600/1973, ragion per cui non vi sarebbero margini per sollevare un eventuale vizio di nullità della sottoscrizione.
Delimitato il perimetro dentro il quale il vizio di sottoscrizione può essere fatto valere, è opportuno adesso stabilire le modalità e le tempistiche in cui lo stesso può essere sollevato.
Non sembra fruttifera l’ipotesi dell’autotutela, atteso che le istanze darebbero luogo a una reiterata serie di dinieghi a fronte dei quali eventuali ricorsi, pur accolti, non avrebbero alcun effetto concretamente positivo per il contribuente, poichè il giudice tributario non ha il potere di sostituirsi ai provvedimenti amministrativi adottati.
L’unica via percorribile sarebbe, dunque, quella di sollevare il motivo in sede di ricorso avverso gli avvisi di accertamento o gli altri atti autonomamente impugnabili. L’onere della prova spetterebbe in tal caso all’Ufficio, il quale dovrà provare che la legittimità della nomina del funzionario incriminato.
Risulta, invece, pregiudicata, la posizione di quei contribuenti che, non avendo eccepito tale vizio in sede di ricorso, anche sotto forma di motivo nascosto argomentabile con le memorie, lo facciano rilevare per la prima volta in sede di memorie illustrative, per la preclusione dettata dall’inammissibilità dei motivi nuovi.
  
di Stefano Loconte - Professore a contratto di Diritto Tributario e Diritto dei Trust, Università degli Studi LUM “Jean Monnet” di Casamassima, Avvocato Gabriella Antonaci - Loconte & Partners

Avviso di accertamento nullo se firmato dal capo team


E’ nullo l’avviso di accertamento che sia stato sottoscritto dal capo team (preposto al reparto competente) e non dal capo ufficio, laddove non vi è alcuna traccia, né scritta, né allegata, di delega; Sentenza n. 1429/01/14 CTP di Salerno

Immagine FiscoeTasse
La firma del capo team non salva l’accertamento; E’ nullo infatti l’avviso di accertamento che sia stato sottoscritto dal capo team e non dal capo ufficio, laddove non vi è alcuna traccia, né scritta, né allegata, di delega, ad affermarlo la CTP di Salerno che con sentenza n. 1429/01/14,che nell’accogliere il ricorso del contribuente, ha ritenuto che il denunciato vizio, sub specie mancata legittimazione a sottoscrivere l’atto, comporti la nullità insanabile dell’avviso.

Commento alla Sentenza del CTP di Salerno n. 1429/01/14

Difatti l’art .42 del, del D.P.R. 600/1973 dispone che l’accertamento è nullo se l’avviso non reca la sottoscrizione del soggetto legittimato, ossia il dirigente o altro funzionario delegato.
Quanto evidenziato trova conferma in alcune decisioni della Corte di Cassazione, che in motivazione ritengono che l’operato dell’Ufficio accertatore sia affetto da nullità insanabile, allorquando si procede all’emissione dell’avviso di accertamento “omettendo l’esibizione e l’allegazione e l’allegazione della delega del capo ufficio alla sottoscrizione degli stessi da parte del funzionario delegato “.
Lo stesso art. 7 dello Statuto dell’Amministrazione, osservano i giudici di merito, attribuisce ai soli direttori degli uffici locali la legittimazione alla sottoscrizione degli atti impositivi, a meno che tale potere non sia stato oggetto di una specifica delega, conferita ad un funzionario di carriera dirigenziale.
La vicenda esaminata dai giudici di Salerno riguarda un avviso di accertamento emesso ai fini Irpef per l’annualità 2007; il contribuente presentava ricorso eccependo, in via preliminare, la nullità dell’avviso perché privo della firma del Capo Ufficio, unico soggetto competente alla sottoscrizione dell’atto.
Si costituiva l’Ufficio sostenendo che la sottoscrizione dell’atto era stata validamente apposta in quanto proveniente dal preposto al reparto competente (capo team); l’art. 7 della Legge n. 212/2000, sosteneva l’Ufficio, non prevede la sottoscrizione come elemento necessario dei provvedimenti tributari e lo stesso articolo l’art. 21 octies, comma 2, della Legge n. 241/1990, esclude l’annullabilità del provvedimento in presenza di vizi formali o, comunque, non caducatori.
La Commissione ha accolto il ricorso argomentando che l’atto accertativo, espressione dell’esercizio del potere impositivo, sottoscritto da un funzionario delegato, e non dal Direttore titolare, può ritenersi legittimo solo se “nell’atto impositivo stesso siano riportati gli estremi identificativi dell’atto di delega, o, in alternativa, quest’ultimo sia allegato all’avviso di accertamento”.
Come evidenziato dalla stessa giurisprudenza di legittimità incombe all’Amministrazione dimostrare il corretto esercizio del potere sostitutivo o la presenza di delega, trattandosi di un documento, se esistente, già in possesso dell’Amministrazione finanziaria (Cass n.14626/2000 ;Cass.17400/2012 ; Cassn.14942/2013).
Di certo l’accertamento giudiziale della legittimità della delega non può essere censurato poiché “rappresenta un controllo non sull’organizzazione interna della p.a., ma sulla legittimità dell’esercizio dell’azione amministrativa e degli atti integranti la relativa estrinsecazione “.
In particolare il Collegio ritiene che la delega, per la sua validità, deve essere conferita a soggetti dell’area dirigenziale; tali dovrebbero essere, nell’assetto delle Direzioni provinciali, il Direttore dell’ufficio preposto all’accertamento, i dirigenti in genere, e i soggetti che fanno parte della terza area funzionale.
Si evidenzia che l’avviso di accertamento, in assenza di indicazioni normative contrarie, è nullo anche se sottoscritto da un dirigente (o da un funzionario delegato) la cui nomina sia stata ritenuta illegittima dal giudice ordinario o amministrativo (Ctp messina n. 128/01/2013).
Il tema è di particolare attualità, atteso che il Tar Lazio (sentenza n.6884/2011) ha dichiarato l’illegittimità della nomina di circa 700 dirigenti dell’Agenzia delle Entrate, in quanto, per espressa previsione del regolamento di amministrazione, essa sarebbe avvenuta in violazione delle varie leggi amministrative che impongono l’adozione del concorso pubblico.

Dirigenti illegittimi. Sì ai motivi aggiunti


La CTP di Campobasso segna un punto a favore dei contribuenti che hanno integrato i motivi di ricorso

In caso di sottoscrizione dell’atto impugnato, da parte di un dirigente decaduto dopo la pronuncia d’incostituzionalità delle norme sulla nomina senza concorso dei dirigenti delle Agenzie fiscali, il contribuente può eccepire il difetto di sottoscrizione e di delega attraverso l’integrazione dei motivi di ricorso, ex art. 24, comma 4, del D.Lgs. 546/1992.

È quanto emerge dalla sentenza n. 784/3/15 pubblicata il 21 maggio dalla Commissione Tributaria Provinciale di Campobasso.

Una contribuente, dopo la pubblicazione dell’ormai nota sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, ha dedotto come motivo aggiunto, ex art. 24, comma 4, D.Lgs. n. 546/92, l’illegittimità del conferimento dell’incarico al dirigente firmatario dell’atto impugnato.
La resistente AdE ha sostenuto l’inammissibilità del motivo aggiunto, poiché non dedotto con il ricorso introduttivo, dunque rientrante tra le situazioni già consolidate, come tali intangibili per effetto dell’intervenuta decadenza dal termine per proporre ricorso.

Ebbene, la CTP molisana ha ritenuto ammissibile lo strumento processuale utilizzato dalla ricorrente per far rilevare la nullità dell’atto in contestazione.

In un passaggio delle motivazioni si legge: “Nella concreta fattispecie correttamente e tempestivamente – nel termine di giorni 60 dalla pubblicazione della sentenza della Consulta nella G.U. – la ricorrente ha utilizzato l’istituto dei motivi aggiunti, previsto dall’art. 24, comma 4, D.Lgs. n. 546/92 a tutela del diritto di difesa e del diritto a ricorrere contro gli atti della Pubblica Amministrazione (artt. 24 e 113 Cost.), a nulla rilevando che la testuale formulazione dell’art. 24 cit. limiti l’ammissibilità dei motivi aggiunti alla produzione in giudizio di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti, poiché la interpretazione logico sistematica della norma induce a ritenere l’applicabilità dell’istituto predetto anche alla sopravvenuta illegittimità dell’atto impugnato ad opera della sentenza ex tunc della Corte Costituzionale (che è sentenza dichiarativa di illegittimità costituzionale di una norma che, dunque, deve ritenersi abrogata, e non già sentenza interpretativa)”.

La sentenza della CTP di Campobasso, quindi, si schiera a favore di chi ha fatto rilevare l’illegittimità degli atti firmati da un dirigente decaduto, per effetto della sentenza n. 37/2015 della Corte Costituzionale, mediante l’integrazione dei motivi di ricorso; mentre la CTR della Lombardia (sentenza 2184 del 19 maggio 2015) ha sostenuto la rilevabilità, anche d’ufficio, in ogni stato e grado del processo della nullità dell’atto firmato da un dirigente decaduto, sicché il contribuente sarebbe ammesso a sollevare la questione in pubblica udienza (come avvenuto nel caso trattato dalla CTR meneghina) o con memoria illustrativa o nell’atto d’appello o, infine, nel ricorso per Cassazione.

giovedì 21 maggio 2015

Certificazione unica, provvigioni e competenza



  mercoledì 11 febbraio 2015

Il prossimo 9 marzo gli studi professionali si confronteranno per la prima volta con l’adempimento dell’invio telematico delle certificazioni uniche; si tratta, come al solito, di un adempimento coerente nella logica ma pasticciato nell’attuazione, in perfetto italian style (Provvedimento di approvazione del modello del 15.01.2015 – poi aggiornato il 22.01.2015 per un refuso – e prima versione del software del 05.02.2015, con buona pace delle previsioni dello Statuto dei diritti dei contribuenti).
A prescindere dalle difficoltà tecnico - organizzative, si tratta di risolvere anche alcune questioni operative che si pongono per il raccordo della nuova modulistica con la normativa vigente.
Si analizzi il caso di una casa mandante che corrisponde provvigioni ai propri agenti, liquidando gli importi dovuti con una tempistica media di un mese dopo la chiusura del trimestre di riferimento.
Quindi, nel 2014 potrebbe essere accaduto che:
  • l’agente abbia maturato provvigioni per 100 nel 4° trimestre 2014;
  • tali provvigioni siano state quantificate e comunicate all’agente stesso nel mese di gennaio 2015;
  • il pagamento materiale della fattura sia avvenuto nello stesso mese di gennaio 2015;
  • la relativa ritenuta d’acconto sia stata versata entro il 16.02.2015.
A fronte di questa situazione, si evidenziano due differenti tipologie di ragionamento che, in verità, venivano svolte anche nel passato, ma si potevano gestire in modo più “elastico”, in considerazione del fatto che l’adempimento era cartaceo:
  1. la CU richiede il riepilogo delle provvigioni comunque denominate per prestazioni, anche occasionali, inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento d’affari, corrisposte nel 2014 …; pertanto, nella CU non troveranno esposizione le ritenute operate nel mese di gennaio 2015, sia pure se riferite per competenza al pregresso anno 2014. Analogamente, nel 770 della casa mandante si troveranno solo le ritenute operate sulle provvigioni corrisposte nel 2014 che, ad esempio, non contemplano il conguaglio del 2015 ma includono quello del 2013;
  2. l’articolo 22 del Tuir (riferendosi idealmente alla posizione dell’agente), rimarca che, dall’imposta determinata a norma dei precedenti articoli si scomputano, nell’ordine: … c) le ritenute alla fonte a titolo d’acconto operate, anteriormente alla presentazione della dichiarazione dei redditi, sui redditi che concorrono a formare il reddito complessivo …(omissis). Le ritenute operate dopo la presentazione della dichiarazione dei redditi si scomputano dall’imposta relativa al periodo di imposta nel quale sono state operate. Poiché le provvigioni fatturate a gennaio dall’agente sono da includere nel reddito del 2014 per competenza, si potrebbe scomputare dall’Irpef di tale periodo anche la ritenuta operata nel 2015, avendo riscontro pratico da una certificazione.
Proprio tale ultima circostanza determinava, nelle aziende meglio organizzate, l’abitudine di rilasciare all’agente:
  • una certificazione relativa alle provvigioni 2014;
  • una separata certificazione relativa alle provvigioni di competenza 2014, ma assoggettate a ritenuta nel successivo anno 2015, sia pure prima del termine di presentazione della dichiarazione (o, meglio, prima del termine di versamento delle imposte da parte dell’agente).
Tale abitudine può essere ancora tranquillamente osservata, semplicemente producendo una certificazione cartacea relativa alle ritenute delle provvigioni del mese di dicembre (composta dal solo frontespizio e dal solo quadro certificazione lavoro autonomo, provvigioni e redditi diversi) unitamente a quella “canonica” delle ritenute operate nel 2014.
Solo la seconda certificazione (quella relativa alle ritenute operate nel 2014) andrà spedita telematicamente all’Agenzia delle entrate entro il prossimo 9 marzo 2015, mentre entrambe dovranno essere consegnate in forma cartacea all’agente entro il 28 febbraio.
Infatti, l’articolo 4 del D.P.R. n. 322/1998, come modificato dal D. Lgs. n. 175/2014, prevede che:
  • comma 6-quater: “le certificazioni … sono consegnate agli interessati entro il 28 febbraio dell’anno successivo a quello in cui le somme ed i valori sono stati corrisposti … (omissis)”;
  • comma 6-quinquies: “le certificazioni … sono trasmesse in via telematica all’Agenzia delle entrate entro il 7 marzo dell’anno successivo a quello in cui le somme ed i valori sono stati corrisposti”.
Il Provvedimento del 15 gennaio 2015, così come le istruzioni per la compilazione, precisano inoltre che in presenza di più compensi erogati allo stesso percipiente, il sostituto ha la facoltà di indicare i dati relativi secondo le seguenti modalità:
  • totalizzare i vari importi e compilare un’unica certificazione qualora i compensi siano riferiti alla stessa causale;
  • compilare tante certificazioni quanti sono i compensi erogati nell’anno avendo cura di numerare progressivamente le singole certificazioni riguardanti il medesimo percipiente.
In conclusione, dunque, la società mandante:
  • ha l’obbligo di consegnare la certificazione cartacea delle ritenute operate nel 2014, entro il 28 febbraio 2015;
  • ha l’obbligo di trasmettere telematicamente tale certificazione entro il prossimo 9 marzo 2015;
  • ha la facoltà di certificare separatamente le ritenute operate, nei primi mesi dell’anno, sulle provvigioni di competenza del 2014, consegnando il solo modello cartaceo anche dopo il 28 febbraio 2015, poiché la scadenza effettiva sarebbe quella del 28 febbraio 2016;
  • ha l’obbligo, probabilmente, una volta seguita l’impostazione di certificare separatamente le ritenute operate nei primi mesi del 2015, di effettuare anche la successiva trasmissione entro il 7 marzo 2016 in modo separato e non in modo cumulativo.
  di Giovanni Valcarenghi

domenica 17 maggio 2015

Corte costituzionale: gli atti adottati da funzionari nominati senza concorso sono nulli

Effetto shock della sentenza che interviene sul caso dei falsi dirigenti all’Agenzia delle Entrate

ErmelliniCCostLa Corte Costituzionale con la sentenza n. 37 del 25 febbraio 2015 ha dichiarato “fuori legge” più di 700 funzionari pubblici nominati dirigenti dall’Agenzia delle Entrate senza un regolare concorso pubblico, gettando nel panico tutta l’alta sfera dell’Agenzia e lo stesso Governo, per gli effetti che hanno mandato nel mondo della morte giuridica migliaia di atti di accertamenti fiscali e di cartelle esattoriali emessi da soggetti privi del titolo qualificativo di legittimità. La suprema Corte ha dichiarato nulli gli atti compiuti da funzionari nominati, senza concorso, ai sensi dell’art.8 del DL n.16 (decreto Monti) del 2.3.2012.
La Sentenza n.37 ha dichiarato infatti l’illegittimità costituzionale delle seguenti norme:
1) art.8, comma 24 del DL n.16 del 02.03.2012-disposizioni urgenti in materia di semplificazione tributaria;
2) art.1, comma 14 del DL n.150 del 30.12.2013; proroga dei termini in materia di assunzioni;
3) art.1, comma 8 del DL n.192 del 31.12.2014.-altra proroga dei termini.
Tutte le predette norme sono state dichiarate incostituzionali in riferimento agli artt. 3, 51 e 97 della Costituzione. In buona sostanza la Corte Costituzionale ha riconfermato un principio, costantemente sostenuto, che gli incarichi dirigenziali debbono essere ricoperti solo previo esperimento di un concorso pubblico. Ancor più la Suprema Corte ha ribadito che il concorso è necessario anche nel caso di inquadramento di dipendenti in servizio. L’assunto chiarisce che anche “l’accesso ad un nuovo posto di lavoro corrispondente a funzioni superiori, deve avvenire attraverso la regola del concorso pubblico”. Il predetto principio segue la conferma di quello stabilito con le precedenti sentenze n. 194 del 2002, n. 293 del 2009, n. 150 del 2010, n. 7 del 2011 e n. 217 del 2012.
La norma sotto accusa è l’art 8 comma 24 del DL n.16/2012 (convertito con modificazione dall’art.1, comma 1 della legge n.44/2012) che ha dettato disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento, e di potenziamento delle procedure di accertamento. La Suprema Corte non solo ha dichiarato la decadenza degli incarichi dirigenziali di tutti coloro che sono stati nominati in forza delle norme dichiarate incostituzionali, ma soprattutto la illegittimità degli avvisi di accertamento e della documentazione relativa  prodotta e sottoscritta dal personale incaricato, durante  i periodi in questione (2012-2014). La decisione, a mente dell’art. 136 Costituzione ha effetto retroattivo, in quanto con la pubblicazione della sentenza sulla G.U. n. 12 del 25 marzo 2015 è decaduta automaticamente la normativa censurata. Ne deriva, per gli effetti precettivi costituzionali, che gli avvisi di accertamento e i documenti fiscali emessi e sottoscritti da dirigenti nominati in forza delle leggi dichiarate incostituzionali sono illegittimi e tali sono anche le deleghe conferite.
Tutta la normativa regolamentare, richiamata nei procedimenti amministrativi subisce gli effetti della decisione della Corte. L’art. 21 septies della legge 241/90 dichiara infatti la nullità assoluta del provvedimento mancante di uno degli elementi essenziali, che nel caso di cui sopra è   la qualifica funzionale. La nullità assoluta può essere eccepita in qualsiasi grado e stato di giudizio, anche d’ufficio, come più volte ha stabilito la stessa Cassazione. Orbene tutti gli avvisi di accertamento firmati da un dirigente ricadente nella suddetta fattispecie sono nulli di diritto. Sono illegittimi gli accertamenti, i ruoli, la consegna e la notificazione degli stessi e le eccezioni possono essere sollevate dai difensori, in qualsiasi fase processuale, richiamando le considerazioni della Corte.
Sul piano giuridico, la mancanza di un elemento assoluto non è sanabile, in quanto nel frattempo sono maturate conseguenze incidenti nella sfera dei diritti dei cittadini, che vanno posti sullo stesso piano compensativo con i poteri dello Stato. La decisione della Corte Costituzionale ha riaperto una questione, già peraltro più volte rilevata dalla Corte dei Conti, che gli atti devono essere emessi e sottoscritti da figure professionali legittimate a ricoprire funzioni attraverso regolari selezioni pubbliche. C’è già chi sostiene che lo Stato, in materia di tributi e tasse proprie,  debba riassumere il ruolo centrale sotto la guida ed il controllo responsabile del Ministero delle Finanze, per ristabilire il clima di certezza e di fiducia del cittadino, sottoposto con la gestione dell’Agenzia ed Equitalia ad azioni fortemente vessatorie, proprie  di un sistema e di una cultura che si volle  sopprimere con le nuove istituzioni.
Il clamore ha già messo in allarme gli Enti pubblici territoriali, Regione, province e Comuni dove le manipolazioni legislative hanno seguito piuttosto la strada della “opportunità politica”. Il problema anche per questi Enti viene da lontano e secondo la logica rivendicata dell’autonomia fiscale, spesso messa sotto accusa dalla Corte dei Conti.  Il Ministero della Funzione pubblica, con la riforma Brunetta, con l’entrata in vigore della legge 15/2009 e del d.lgs 150/2009 è intervenuto sulla  materia delle assunzioni e delle progressioni di carriera al fine di obbligare le amministrazioni ad osservare rigorosamente e senza eccezioni il principio del concorso. Infatti dal 1992 con la legge delega n. 421 gli Enti territoriali hanno confuso la materia dell’accesso pubblico con quello della gradualità della carriera, spingendo il principio verso il regime completamente privatistico.
Solo l’intervento della Suprema Corte di Cassazione, a Sezione Unite n.15403 del 2003 ha fermato la confusione, stabilendo che l’accesso al lavoro e le procedure funzionali alla progressione della carriera devono avvenire attraverso il concorso pubblico. La Giurisprudenza di merito, intervenendo sul testo dell’art. 63, co.4 del d.lgs n.165/77, ha esteso il concetto delle procedure concorsuali dell’assunzione, affermando che il termine “assunzione”deve essere correlato alla qualifica che il candidato tende a conseguire e non all’ingresso in pianta organica. La Suprema Corte ha riconfermato quindi l’obbligo del concorso soprattutto nella gradualità delle funzioni, mettendo un punto fermo in una pratica diffusa di  attribuzioni funzionali secondo criteri discrezionali, ancorati alle “opportunità politiche”.
Il predetto principio in verità ha seguito l’orientamento della Corte Costituzionale che già con la decisione del 1999 aveva osservato che“anche il passaggio dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni ad una fascia funzionale superiore, comportando l’accesso ad un nuovo posto di lavoro, corrispondente a funzioni più elevate, è soggetto alla regola del pubblico concorso enunciato dal terzo comma dell’art. 97 della Costituzione”. Negli Enti territoriali il predetto principio è stato completamente disatteso o raggirato attraverso interpretazioni di comodo, non assoggettate, purtroppo, a nessun controllo, per la carente normativa e per la limitata attività della Corte dei Conti. Il personale assunto attraverso leggi eccezionali, come quelle sul terremoto o della ex 285/77, o trasferito, con artificiose procedure, in regime di mobilità è stato “sospinto” in posizioni funzionali di responsabilità, senza concorso pubblico, confortato da pareri di comodo di funzionari nominati dirigenti, privi anch’essi del legittimo titolo pubblico.
A proposito del personale proveniente dalla ex 285/77 il Consiglio di Stato sez V 6 luglio 2002 n.3730 ha sentenziato che i  contratti di formazione e lavoro stipulati con i giovani ex legge 1.6.1977 n. 285 devono ritenersipreliminari e precari, anche se di natura pubblicistica, per il tempo del sostegno economico assicurato dallo Stato. Gli stessi posti in condizione privilegiata per il sostegno economico, sono obbligati a partecipare a concorsi pubblici come tutti i cittadini, in possesso dei requisiti previsti dalla legge. La sentenza della Corte Costituzione n. 37 del 25 febbraio 2015 ha riaperto  il discorso anche per gli Enti territoriali. Secondo i corollari della Suprema Corte tutti gli atti adottati e firmati dal personale incaricato e nominato in violazione dei principi sopra richiamati, sono nulli con gli effetti di nullità degli atti conseguenti, come accertamenti, avviso ruoli e cartelle esattoriali.
Ai predetti principi soggiace anche la Società di riscossione Equitalia costituita, con legge dello Stato nella forma pubblica al 51%. La giurisprudenza amministrativa e contabile ha spesso confermato il principio anche per questi Soggetti, stabilendo che gli incarichi e le funzioni vanno coperte attraverso concorso pubblico, in quanto prevale il principio pubblico del 51%. Il 49% deve osservare le regole pubbliche, come per lo Stato e gli Enti territoriali. Il varco aperto dalla Corte Costituzionale rischia di allargarsi a tutti i comparti della P.A.  E’ messo in discussione l’operato di molte amministrazioni che hanno affidato l’attività pubblica ed i procedimenti amministrativi a figure professionali che non possedevano e tutt’ora non possiedono i requisiti per emettere o delegare provvedimenti incidenti nella sfera dei diritti dei cittadini.
La crisi economica ha fatto scoppiare tutte le contraddizioni della P.A  amministrata e gestita con metodi e criteri di opportunità politica contrari ai principi di uguaglianza, legalità e buon andamento amministrativo, fissati nell’art. 3, 51 e 97 della Costituzione.
Si aprirà dunque una nuova stagione di contenzioso tributario, civile e contabile.
di Gerardo Spira 24 - aprile - 2015

martedì 5 maggio 2015

Inesistenti le notifiche effettuate da soggetto non abilitato




Sino ad oggi, la Corte di Cassazione è stata chiamata a pronunciarsi unicamente su questioni relative alle conseguenze derivanti dalla mancata compilazione della relata di notifica delle cartelle di pagamento. Mentre non è stato assolutamente sollevato dinnanzi alla stessa il diverso problema della inesistenza della notifica perché effettuata da un soggetto non abilitato dalla legge.
È bene precisare preliminarmente, infatti, che si tratta di due questioni giuridiche totalmente differenti, in quanto la compilazione della relata di notifica è finalizzata all’identificazione del soggetto ricevente, la cui non identificabilità è semplicemente causa di nullità (che peraltro nel nostro ordinamento sono tassativamente previste dall’art. 160 c.p.c.), e quindi in quanto tale sanabile ai sensi e per gli effetti dell’art. 156 c.p.c, secondo comma.
La questione giuridica riguardante il soggetto abilitato dalla legge, nei casi di notifiche eseguite a mezzo posta, a consegnare all’Agente Postale l’atto da notificare è cosa ben diversa!!!
L’art. 160 c.p.c. già citato, infatti, prescrive la nullità della notificazione tassativamente nei casi di inosservanza delle “disposizioni circa la persona alla quale deve essere consegnata la copia, o se vi è incertezza assoluta sulla persona a cui è fatta o sulla data, salva l’applicazione degli articoli 156 e 157 c.p.c.”.
E si evince facilmente come la norma appena riportata non annoveri tra le cause di nullità della notifica l’esecuzione della stessa da parte di soggetto a ciò non abilitato.
Tali premesse sono senza dubbio essenziali per l’esatto inquadramento della problematica, soprattutto alla luce del dettato normativo di cui all’art. 156, primo comma, il quale, infatti, stabilisce che: “non può essere pronunciata la nullità per inosservanza di forme di alcun atto del processo, se la nullità non è comminata dalla legge”.
È utile l’interpretazione di tale norma, non solo dal punto di vista della tassatività delle cause di nullità, ma anche al fine di comprendere la volontà del legislatore di riferire tale disciplina delle nullità, come anche della sanatoria prevista dal secondo comma dello stesso articolo, ai soli atti del processo.
Al contrario, la presente problematica si riferisce esclusivamente alle notifiche per posta degli atti sostanziali (per esempio, cartelle esattoriali, atti della procedura esecutiva ecc.) e non riguarda assolutamente gli atti del processo tributario, (Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 20 giugno 2007, n. 14294) per i quali, invece, la notificazione, oltre ad ammettere spesso l’utilizzo di forme semplificate (le cc.dd. notifiche dirette), costituisce condizione di giuridica efficacia e, se viziata da nullità, comporta l’operatività della sanatoria ex art. 156 c.p.c., con effetto retroattivo, per raggiungimento dello scopo o per rinnovazione.
È d’uopo l’affermazione appena fatta poiché la notifica della cartella di pagamento non ha unicamente la finalità di far conoscere l’atto al contribuente, ma essendo la stessa cartella di pagamento un atto unilaterale recettizio la sua notifica ha la funzione di perfezionarne l’esistenza giuridica.
Si capisce pertanto come la sanatoria per il raggiungimento dello scopo prevista dall’art. 156 c.p.c. non possa in questo caso trovare applicazione.
L’art. 26 del D.P.R. 602/1973 stabilisce al primo comma che “La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell'avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda”.
L’interpretazione letterale dell’art. 26 porta a ritenere che il Legislatore abbia voluto stabilire una garanzia maggiore per le notificazioni di atti sostanziali (e non processuali, lo si sottolinea ancora) che incidono sulla sfera patrimoniale del contribuente, prevedendo che solo i soggetti tassativamente indicati possano validamente effettuarle. All’interno dello stesso primo comma, l’art. 26 cit. disciplina poi le modalità con cui gli stessi soggetti possono notificare gli atti, tra le quali annovera anche l’invio dell’atto per posta. È senz’altro privo di fondamento giuridico inserire all’interno dello stesso comma del medesimo articolo due statuizioni per poi intendere che le stesse siano interpretate ed applicate in senso non uniforme e collegato!!!
Per focalizzare bene i termini giuridici del problema è importante precisare che, in tema di notificazioni delle cartelle di pagamento per posta, occorre distinguere due distinte fasi procedimentali:
  1. la prima, quella di consegna materiale della cartella dal concessionario all’agente postale (tramite la busta verde e non la busta bianca);
  2. la seconda, quella di notifica da parte dell’agente postale al contribuente; in sostanza, l’agente postale agisce sempre come “nuncius”, cioè ausiliario dell’agente notificatore.
I due momenti temporali sono nettamente distinti e disciplinati dall’art. 26, primo comma, cit. che, è bene subito chiarire, è stato modificato nel corso degli anni ed ha avuto la seguente formulazione giuridica:
  1. dal 1° gennaio 1974 sino al 30 giugno 1999:
“La notificazione della cartella al contribuente è eseguita dai messi notificatori dell’esattoria o dagli Ufficiali esattoriali ovvero dagli Ufficiali giudiziari e nei comuni, che non sono sede di pretura, da messi comunali e dai messi di conciliazione. Alla notificazione in comuni non compresi nella circoscrizione esattoriale provvede l’esattore territorialmente competente, previa delegazione da parte dell’esattoria che ha in carico il ruolo. La notificazione può essere eseguita anche mediante invio, da parte dell’esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento. La notificazione si ha per avvenuta alla data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal comma successivo”;
  1. dall’01 luglio 1999 sino all’08/06/2001, a seguito delle modifiche introdotte dall’art. 12, comma 1, D.Lgs. n. 46 del 26 febbraio 1999:
“La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma”;
  1. dal 09/06/2001 sino ad oggi, a seguito delle ulteriori modifiche apportate dall’art. 1, comma 1, lett. c), D.Lgs. n. 193 del 27 aprile 2001 (G.U. n. 120 del 25 maggio 2001):
“La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell’avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l’abitazione, l’ufficio o l’azienda”.
Come può facilmente notarsi dallo sviluppo normativo di cui sopra, per la notifica a mezzo posta, il legislatore: in un primo momento storico, ha tassativamente previsto che fosse fatta direttamente “da parte dell’esattore”; successivamente, ha cancellato tale inciso e, di conseguenza, ha previsto che fosse fatta soltanto dai soggetti tassativamente indicati nell’art. 26, comma 1, prima parte, cit. (Ufficiali della riscossione; altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge; ovvero, previa eventuale convenzione tra comune e concessionario dai messi comunali, o dagli agenti della polizia municipale).
Il significato proprio delle parole e l’intenzione del legislatore sono chiari nell’escludere, a far data dall’01 luglio 1999, l’esattore (oggi concessionario) dalla notificazione mediante invio diretto della lettera raccomandata con avviso di ricevimento.
Dopo queste preliminari ed imprescindibili precisazioni si comprende facilmente la differenza tra la problematica della mancata compilazione della relata di notifica che si trova sulla cartella di pagamento che comporta la nullità della notifica stessa e quella attinente alle conseguenze che possono derivare dalla esecuzione della notifica da parte di soggetto a ciò non abilitato dalla legge. È comprensibile infatti che il Legislatore abbia voluto prevedere una garanzia maggiore per la notifica degli atti tributari sostanziali in quanto questi incidono direttamente sulla sfera patrimoniale del destinatario e, pertanto, è più che coerente che le notifiche degli stessi debbano essere poste in essere mediante procedure ben definite e da soggetti abilitati, così da poter garantire l’effettiva conoscenza dell’atto da parte del soggetto destinatario. A maggior ragione, poi, se la notifica della cartella di pagamento ha altresì la finalità di rendere l’atto perfetto in senso giuridico.
Consolidata dottrina e ricorrente giurisprudenza nell’affermare che “l’inesistenza giuridica della notificazione ricorre quando quest’ultima manchi del tutto o sia effettuata in modo assolutamente non previsto dalla normativa, tale, cioè, da impedire che possa essere assunta nel modello legale della figura” non connotano di impossibilità giuridica l’istituto della inesistenza della notificazione, ma anzi ne affermano la ricorrenza, quand’anche eccezionale, tutte le volte in cui la notificazione si discosti dal modello legale previsto dalla legge. Circostanza, questa, che ad avviso di chi scrive, si verifica tutte le volte in cui non sia identificabile il soggetto che abbia eseguito la notificazione, con la conseguenza che non sia possibile verificare se egli rientri tra i soggetti abilitati, poiché in caso contrario ci si troverebbe in presenza di una situazione estranea al modello legale, che non può che determinare l’inesistenza della notificazione.
E quindi si ribadisce la circostanza che la Corte di Cassazione sullo specifico argomento della notifica effettuata da soggetto non abilitato non si è mai fino ad ora assolutamente pronunciata. Tanto più se si pensa che tale questione di diritto è stata solo recentemente sollevata per la prima volta dinnanzi ai giudici di prima istanza. E pertanto, si può facilmente concludere che le eccezioni di Equitalia, come le tesi dottrinali contrarie a quanto in questa sede sostenuto e che portano a sostegno la giurisprudenza della Suprema Corte, sono senza dubbio alcuno giuridicamente infondate ed immotivate, perché come si è più volte precisato, tali interpretazioni sono frutto della confusione delle due assolutamente differenti problematiche.
Infatti, vi è stato chi ha portato a sostegno delle proprie argomentazioni contrarie all’inesistenza delle notifiche effettuate direttamente dal concessionario, l’ordinanza della Corte di Cassazione del 6 luglio 2010, n. 15948. In tale ordinanza, tuttavia la Suprema Corte si pronuncia sulle conseguenze giuridiche della mancata redazione della relata di notifica, che come si è detto nella parte iniziale del presente articolo, comporta la nullità ai sensi dell’art. 160 c.p.c.
Attinenti alla diversa probl.ematica delle notifiche effettuate da soggetto non abilitato dalla legge ad eseguirle, o in ogni caso da soggetto non identificabile, vi sono numerose pronunce dei giudici di merito, le quali, giusta l’interpretazione della norma di cui al primo comma dell’art. 26, D.P.R. 602/1973, concludono dichiarando l’inesistenza della notifica a mezzo posta della cartella di pagamento quando non sia effettuata dai soggetti tassativamente indicati dal primo comma dell’art. 26 cit..
Valga tra tutte, la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Lecce del 29/12/2010, n. 533, della quale se ne riporta quasi integralmente la motivazione, data la sua compiutezza e linearità espositiva.
Le contro deduzioni di Equitalia fanno ricorso al secondo periodo del primo comma dell'art. 26 del citato D.P.R., laddove si legge :"La notifica può esse eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento".
Tale interpretazione non convince il Collegio in quanto la locuzione su citata viene letta in modo estrapolato dal contesto in cui è inserita. La stessa non è altro che la prosecuzione del primo periodo dell'art. 26 del citato Dpr. tenendo come riferimento il punto principale dell'articolato laddove specifica che "la cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati" e la possibilità di notificare la cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento va riferita sempre agli ufficiali della riscossione o altri soggetti abilitati i quali possono avvalersi del servizio postale mentre sono illegittime le notifiche eseguite direttamente dall'Agente della riscossione.
Il tema della notifica di atti che incidono nella sfera patrimoniale del cittadino è stato rigorosamente disciplinato dal legislatore negli artt. 26 D.P.R. 602/73 e 60 D.P.R. 600/73, laddove vengono dettate tassative prescrizioni, finalizzate a garantire il risultato del ricevimento dell'atto da parte del destinatario ed attribuire certezza all'esito del procedimento notificatorio.
Con l'art. 14 della L. 890/82 il legislatore ha riservato la possibilità di eseguire "la notifica degli avvisi e degli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente anche a mezzo della posta direttamente dagli uffici .finanziari". Detta previsione è chiaramente riservata agli uffici che esercitano potestà impositiva, con esclusione degli Agenti della riscossione che sono preposti solo alla fase riscossiva.
Va peraltro osservato che mentre con l'originario testo dell'art. 26 D.P.R. 602/73, l° comma, la notificazione era stabilito che potesse essere eseguita "anche mediante invio, da parte dell'esattore, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento ", oltrechè dai messi notificatori dell'esattoria; dagli ufficiali esattoriali ovvero dagli ufficiali giudiziari e nei Comuni non sede di pretura dai messi comunali e dai messi di conciliazione, la disposizione è sensibilmente variata con l'avvento della riforma della riscossione mediante ruolo (D.Lgs. 26.02.1999, n. 46; D.Lgs. 13.04.1999, n. 112).
L'art. 26 predetto, come sostituito dall'art. 12, D.Lgs. 46/1999, ora dispone che "La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero, previa. eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante. invio di raccomandata con avviso di ricevimento".
Disposizione quest'ultima che, a differenza della formulazione precedente, non contempla la espressione "da parte dell'esattore" che è invece sostanzialmente rimasta nell'art. 14 L. 20 novembre 1982 n. 890 prima richiamato, che attribuendo agli uffici finanziari il potere di notificare "a mezzo posta direttamente" gli avvisi e gli altri atti che per legge devono essere notificati al contribuente, ha inteso fornire una giustificazione "catione subiecti ", alla differente disciplina, sostituendo un pubblico funzionario all'organo della notificazione, limitatamente all'atto di cui trattasi, in considerazione di tale sua qualità, non rivestita invece dal concessionario della riscossione che è una società commerciale di diritto privato.
Ne è riprova che l'art. 26, D.P.R. 602/73, nella vigente formulazione, esordisce affidando a soggetti specifici la funzione della notificazione delle cartelle, in primo luogo agli ufficiali della riscossione per i quali l'art. 42, D.Lgs. 112/98 stabilisce criteri e modalità per la acquisizione della idoneità allo svolgimento delle funzioni e rimette al prefetto l'autorizzazione al loro esercizio, con il potere di revoca; controllo che suppone una abilitazione di partenza e una verifica in corso di attività per la natura del ruolo svolto, che il sistema ha apertamente escluso che possa essere direttamente, quanto all'adempimento di cui si tratta, esercitato dal concessionario, tant'è che l'art. 43 afferma che "1 'ufficiale della riscossione non può, farsi rappresentare né sostituire".
Ne deriva che la previsione contenuta nell'art. 26 della notifica mediante raccomandata con avviso di ricevimento debba essere letta esclusivamente come modalità esecutive, alla stregua di quanto stabilisce la L. 890/1982, pur sempre affidata all'organo della notificazione, all'interno della struttura operativa (l'art. 45, D.Lgs. 112/1999 prevede che il concessionario per la notifica delle', cartelle di pagamento e degli avvisi contenenti l'intimazione ad adempiere possa nominare uno o più messi notificatori che non possono farsi rappresentare o sostituire) ovvero all'esterno di essa (ex art. 26, D.P.R. 602/73, messi comunali o agenti della polizia municipale), sicché una volta che la notificazione risulti sottratta al concessionario, la attività che a riguardo sia da lui compiuta è inesistente e il vizio relativo non è sanabile ai sensi dell'art. 156 c.p.c. che, quand'anche fosse ritenuto applicabile ad atti diversi da quelli processuali (la cartella in questione tale non è), non può essere invocato al di fuori delle ipotesi di nullità”. … “A fronte di tali rilievi non è condivisibile quanto assume la Corte di legittimità (Ord. 15948/2010, ordinanza già brevemente commentata) che non risulta essersi fatta carico della soluzione normativa del D.P.R. 602/73, ancor più quando considera il disposto dell'art. 127, D.P.R. n. 43/1988 che per le notifiche degli atti e dei provvedimenti previsti dal D.P.R. 602/73 opera un rinvio all'art. 60, D.P.R. 600/73, che espressamente richiama le norme del Codice di procedura civile (artt. 137 e ss.) che disciplinano la notificazione come atto proprio ed esclusivo dell'ufficiale giudiziario, anche quando si avvale del servizio postale”.
In tal senso anche la Commissione Tributaria Provinciale di Pescara che nella sentenza n. 743/4/10 del 3 novembre 2010, stabilisce che “Osserva il Collegio che per inquadrare i termini della questione su cui le parti controvertono è d'uopo leggere - con il criterio di ermeneutica fornito dall'art. 12 delle Preleggi - l'articolo 26 del D.P.R. 602/73 che disciplina la notifica degli atti di riscossione, del quale è utile trascrivere il primo comma: «La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge, ovvero previa convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere eseguita anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento; in tal caso, la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell' avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda»… In buona sostanza, pur rimanendo fermi i soggetti autorizzati, questi, a loro volta, invece che direttamente, possono ricorrere all'ausilio del servizio postale; consequenzialmente, l'Agente della riscossione non pare possa ricorrere in alcun modo alla notifica diretta, ma deve, necessariamente, passare attraverso i soggetti menzionati nel primo comma: essi sono gli unici a poter fruire del servizio postale. A queste conclusioni è giunta la Commissione Tributaria Provinciale di Lecce, che, con sentenza n. 909/05/2009 del 23 ottobre 2009, ha stabilito che «la possibilità di notificare la cartella mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento va riferita sempre agli ufficiali della riscossione o altri soggetti abilitati i quali possono avvalersi del servizio postale, mentre sono illegittime le notifiche eseguite direttamente dall'Agente della riscossione. Il tema della notifica degli atti che incidono nella sfera patrimoniale del cittadino è stato rigorosamente disciplinato dal legislatore negli artt. 26, D.P.R. 602 del 29 settembre 1973 e 60 D.P.R. 600 del 29 settembre 1973, laddove vengono dettate tassative prescrizioni, finalizzate a garantire il risultato del ricevimento dell'atto da parte del destinatario ed attribuire certezza all'esito del procedimento notificatorio». In tal senso si sono espressi i Giudice del Tribunale di Udine, i quali, con sentenza n. 1183/2008 hanno concluso che «non è consentito al concessionario di estendere la norma (l'art. 26 D.P.R. del 29 settembre 1973) fino al punto da rendere anonimo ed impersonale l'invio della lettera raccomandata e di impedire qualsiasi forma di verifica sul rispetto della procedura”.
Alla luce di tutte le considerazioni fatte nel presente articolo, della giurisprudenza richiamata e riportata, è evidente che comincia ad emergere la diversità giuridica tra la questione attinente alla mancata compilazione della relata di notifica che comporta la nullità della stessa e quella attinente, invece, alla inesistenza della notifica perché eseguita da soggetto non abilitato. L’inesistenza è un vizio insanabile dell’atto e, pertanto, quando sulla questione specifica troverà a pronunciarsi PER LA PRIMA VOLTA la Suprema Corte di Cassazione, qualora dovesse accogliere tale interpretazione, potrebbe derivarne un grosso danno per l’Erario, in quanto l’inesistenza della notifica comporterà l’annullamento immediato dell’atto impositivo, con conseguente e più che legittima perdita della potestà impositiva nel caso concreto con quell’atto esercitata.
Si è dimostrato in questo elaborato che sempre più numerose sono le decisioni dei giudici di merito che accolgono la questione dell’inesistenza della notifica eseguita da soggetto non abilitato, in quanto tale prassi notificatoria è riconosciuta essere assolutamente estranea al modello legale che, invece, prevede che le notifiche degli atti tributari sostanziali siano effettuate solo dai soggetti tassativamente indicati nel primo comma dell’art. 26 del D.P.R. 602/1973 per motivi di garanzia legale di tutte le parti (fisco e contribuente).
 Articolo 11.02.2011 (Maurizio Villani, Stefania Attolini)