Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Agenzia delle Entrate

Attestazione del requisito idoneità finanziaria

ai sensi art 7 Reg. Europeo n. 1071/2009 – art. 7 D. D . 291/2011

Pratiche Telematiche al Registro Imprese - Invio Bilancio
Aggiornamento Consiglio di Amministrazione ed elenco Soci
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Gestione del contenzioso con l' Agenzia delle Entrate
Ricorsi Tributari

giovedì 24 ottobre 2013

compensazione del credito Iva

compensazione del credito Iva


Dal 18 marzo 2013 si può iniziare a compensare in F24 il credito Iva 2012, per importi superiori a 5mila euro, con altre imposte o contributi di natura diversa e/o nei confronti di diversi Enti impositori, a patto che si abbia già presentato, entro il 28 febbraio scorso, la dichiarazione Iva 2013, relativa al 2012.
La regola
Il credito annuale Iva 2012 poteva essere compensato in F24 per pagare imposte o contributi di natura diversa e/o nei confronti di diversi enti impositori, per un importo complessivo inferiore a 5mila euro annui, già dal 1° gennaio 2013 (risoluzione 29 luglio 2008, n. 321/E), mentre la compensazione per importi superiori a 5mila euro e fino a 15mila euro è possibile solo dal 16 del mese successivo a quello di presentazione del modello Iva annuale. Serve il visto di conformità nel modello, infine, oltre i 15mila euro e fino a 516.456,90 euro (limite non ancora aumentato a 700mila, in attuazione del decreto legge n. 78/2009). Considerando che il 16 marzo era un sabato, la prima data utile per il pagamento di debiti in compensazione con il credito annuale Iva è il lunedì 18 marzo.
Società di comodo
In questi casi, naturalmente, si deve fare attenzione al fatto di non essere una società di comodo nel 2012, in quanto ciò fa perdere il diritto al rimborso o alla compensazione in F24 dell'eccedenza Iva. Invece, il credito viene definitivamente perso, cioè "non è ulteriormente riportabile a scomputo dell'Iva a debito relativa ai periodi di imposta successivi", se si è non operativi "per tre periodi di imposta consecutivi" (articolo 30, comma 4, legge 23 dicembre 1994, n. 724).

Residui debiti Iva
L'utilizzo del credito annuale Iva 2012 concorre a determinare il limite dei 15mila euro (come quello dei 5mila euro), se viene utilizzato per pagare, con ravvedimento operoso, debiti Iva relativi alle liquidazioni mensili o trimestrali del 2012. Invece, non concorre a determinare i due limiti, se viene utilizzato in F24 o in liquidazione Iva per pagare gli eventuali saldi a debito delle liquidazioni periodiche 2013, in quanto si tratta di debiti Iva relativi a periodi successivi "rispetto a quello di maturazione del credito" (circolare 3 giugno 2010, n. 29/E, risposta 1.1).
Il limite di 5mila euro (come quello di 15mila euro) è riferito "all'anno di maturazione del credito" (stesso codice tributo e anno) e "non all'anno solare di utilizzo in compensazione" (circolari 15 gennaio 2010, n. 1/E, paragrafo 2 e 12 marzo 2010, n. 12/E, risposta 1.1). Naturalmente, si riferisce all'importo del credito utilizzato complessivamente in compensazione e non all'ammontare utilizzato in ogni singola compensazione in F24. Ad esempio, se un impresa chiude la dichiarazione Iva 2013 con un credito 2012 pari a 20mila euro, deve far apporre il visto di conformità nella dichiarazione Iva, se il credito 2012 viene compensato per 15mila euro nel 2013 e per altri 5mila euro nel 2014. In particolare, nel 2013 la compensazione del credito che eccede i primi 5mila euro (fino a 15mila euro), può essere effettuata solo dal 16 del mese successivo a quello di presentazione della dichiarazione annuale Iva 2013, relativa al 2012.

lunedì 14 ottobre 2013

COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE BARI – Sentenza 26 giugno 2013, n. 58


COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE BARI – Sentenza 26 giugno 2013, n. 58

Accertamento – Avviso di accertamento – Motivazione per relationem – Atto richiamato – Conoscibilità da parte del contribuente – Prova fornita dall’Ufficio in giudizio – Legittimità – Sussiste
Fatto
Con ricorso depositato in data 3.3.2009, il sig. V. G. impugnava, innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Bari, l’avviso di accertamento n° 885010702478/2008 notificatogli il 16.12.2008, con cui l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bari 2 aveva accertato ai fini IRPEF – Addizionale Regionale e Comunale, un reddito imponibile per il periodo d’imposta 2002 pari ad € 27.502,00, in ragione della sua qualità di socio al 5% della società “M. s.a.s. di E.G. & C”, a carico della quale “è stato accertato il reddito d’impresa pari ad € 355.598,00 (accertamento in corso di notifica)”.
Il contribuente eccepiva l’illegittimità dell’atto impugnato per i seguenti – motivi: 1) violazione dell’art. 42 D.P.R. n° 600/73, per omessa allegazione dell’ “accertamento relativo alla predetta società, cui la motivazione fa espresso riferimento”; 2) difetto di motivazione; 3) inesistenza delle presunzioni gravi, precise e concordanti prescritte dall’art. 38 D.P.R. n° 600/73, posto che «nel caso di specie, il presupposto da cui è scaturito l’accertamento in oggetto, ovverosia la presunzione di maggior reddito in capo alla M. s.a.s., è ben lungi dal rispettare quanto previsto dalla norma, dal momento che, alla data della sua emissione, l’accertamento in capo alla società risultava non solo non definitivo, ma addirittura ancora “in corso di notifica”», nonché violazione del divieto del praesumptum de praesumpto; 4) violazione dell’onere della prova da parte dell’Ufficio impositore; 5) violazione e falsa applicazione dell’art. 7 TUIR; 6) violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 4, del D.P.R. n° 600/73, in quanto “avendo il sig. V. percepito, in tale anno, esclusivamente la pensione dall’INPS, su cui è stata operata la relativa ritenuta, lo stesso non era tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi, in base al disposto dell’articolo – 1, comma 4, indicato in epigrafe”; 7) nullità della sanzione irrogata, in quanto derivata dall’illegittimità dell’accertamento impugnato.
Con atto depositato in data 7.4.2009, l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bari 2 si costituiva in giudizio, contestava la fondatezza del ricorso e ne chiedeva il rigetto. Con sentenza n° 258/22/09 del 16.11.2009, la Commissione Tributaria Provinciale di Bari accoglieva il ricorso, ritenendo fondata innanzitutto “l’eccezione del ricorrente circa la mancata ricezione dell’atto di accertamento in capo alla società partecipata…. Per conseguenza l’avviso di accertamento non è motivato ed è stato emesso in violazione del diritto di difesa del contribuente in quanto non sono state portate a sua conoscenza le ragioni poste a suo fondamento”.
Avverso tale sentenza, l’Agenzia delle Entrate – Direzione Provinciale di Bari proponeva appello innanzi a questa Commissione e rilevava particolarmente «che è prassi degli Uffici dell’Agenzia delle Entrate notificare l’accertamento attinente una società, presso la sede della società, al rappresentante ed ai soci tant ‘è vero che, a pagina 2, l’atto risulta essere debitamente indirizzato al sig. G. E., in qualità di rappresentante legale della s.a.s., sempre al sig. G. E., in qualità di socio della M. ed al sig. V. sempre in qualità di socio. Nel caso in esame è accaduta una circostanza che capita di frequente quando due atti, collegati – tra loro, debbano essere redatti e notificati da Uffici con diversa competenza.
Infatti l’Ufficio di Bari 1 ha notificato gli atti relativi all’accertamento emesso in capo alla società, l’Ufficio di Bari 2 ha notificato l’accertamento per redditi di partecipazione al sig. V.. La diversa tempistica ha voluto che, giunta la segnalazione dell’Ufficio di Bari 1, l’Ufficio di Bari 2 abbia provveduto contestualmente a redigere il proprio atto quando il prodromico non era stato ancora notificato. Proprio questo motivo spiega il perché l’avviso di accertamento notificato al sig. V., in riferimento all’avviso emesso nei confronti della Società, recasse la dizione “in corso di notifica”…. Pertanto, al momento, non era possibile allegare alcunché all’avviso di accertamento per redditi di partecipazione notificato al V. visto che alcun accertamento in capo alla società era stato ancora notificato».
Con atto depositato in data 5.4.2011, il sig. V. G. si costituiva in giudizio ed eccepiva, preliminarmente, l’inammissibilità dell’appello, chiedendo a questa Commissione di verificarne la tempestività; nel merito, contestava la fondatezza dell’appello e ribadiva tutte le considerazioni svolte in prime cure.
Alla pubblica udienza del 29.5.2012, questa Commissione disponeva, con ordinanza n° 23/5/12, l’acquisizione dell’accertamento fatto a carico della società “M. s.a.s. di E.G. & c.” con le relative relate di notifica.
In data 12.6.2012, l’Ufficio appellante depositava memoria integrativa con allegata documentazione.
Alla pubblica udienza del 23.10.2012, la causa veniva introitata per la decisione.
Diritto
Preliminarmente, la Commissione esamina la questione dell’inammissibilità dell’appello eccepita dal contribuente.
Ebbene, dalla documentazione depositata dall’Ufficio all’udienza del 29.5.2012, risulta che l’appello è stato notificato nei termini di legge, essendo stato spedito in data 26.1.2011.
Passando, quindi, all’esame del merito della controversia, la Commissione ritiene che l’appello non sia meritevole di accoglimento.
Come si è rilevato in fatto, con l’avviso di accertamento originariamente impugnato, l’Ufficio ha accertato un maggior reddito imponibile in capo al contribuente, poiché quest’ultimo risultava socio al 5% della società “M. s.a.s. di E.G. & c.”, a carico della quale “è stato accertato il reddito d’impresa pari a € 355.598,00 (accertamento in corso di notifica) imputabile ai fini IRPEF quale reddito di partecipazione ai soci per la quota di propria spettanza sulla base della percentuale di partecipazione”.
Trattasi, dunque, di un atto motivato “per relationem” rispetto all’accertamento “madre” effettuato nei confronti della società, di cui il contribuente era socio al 5%.
La motivazione “per relationem” deve generalmente ritenersi legittima allorquando l’atto richiamato in motivazione sia stato allegato o comunque portato a conoscenza del contribuente oppure quando ne sia stato riprodotto il suo contenuto essenziale.
Nel caso di specie, l’accertamento “madre” relativo alla società è stato meramente richiamato nell’atto de quo – come si è detto sopra – senza essere allegato allo stesso, poiché “non era possibile allegare alcunché all’avviso di accertamento per redditi di partecipazione notificato al V. visto che alcun accertamento in capo alla società era stato ancora notificato” (vedasi Pertanto, questa Commissione ha disposto, con l’ordinanza del 29.5.2012, l’acquisizione agli atti del giudizio dell’accertamento fatto a carico della società “M. s.a.s. di E.G. & c.” con le relative relate di notificazione (posto che, in prime cure, l’Ufficio aveva prodotto il suddetto accertamento sprovvisto delle relate di notifica), al fine di verificare se tale accertamento fosse stato comunque portato a conoscenza del contribuente.
Sennonché, in relazione all’ordinanza suddetta, l’Ufficio ha prodotto in atti l’avviso di accertamento gravato dal contribuente con il ricorso introduttivo del presente giudizio, anziché l’accertamento “madre” così come richiesto con l’ordinanza.
Deve, dunque, concludersi che la motivazione dell’accertamento per cui è causa si fonda su un atto che non è stato portato in alcun modo nella sfera di conoscibilità del contribuente.
Conseguentemente, l’accertamento de quo deve ritenersi illegittimo per difetto di motivazione.
Alla luce delle considerazioni sopra esposte, l’appello deve essere rigettato.
La soccombenza giustifica la condanna dell’appellante al pagamento delle spese di lite, che si liquidano in complessive € 500,00.

P.Q.M.

Definitivamente pronunciando, rigetta l’appello dell’Agenzia delle Entrate e conferma l’impugnata sentenza. Spese a carico dell’appellante che si liquidano in complessive € 500,00.

Annullata la cartella di pagamento notificata al contribuente oltre i termini di decadenza

Annullata la cartella di pagamento notificata al contribuente oltre i termini di decadenza


18 Marzo 2013 09:56:04
INTITOLAZIONE:
Riscossione - Ruolo - Termini per l’iscrizione e notifica della relativa cartella di pagamento a seguito dei controlli previsti dall’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art 54-bis del D.P.R. n. 633/1972 – Termine stabilito dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 - Perentorietà - Sussistenza - Conseguenze - Decadenza dell’azione da parte dell’Ufficio.
ANNOTAZIONI:
Per quanto riguarda la riscossione da parte delle Concessionarie, è bene ricordare che nel contesto tributario l’esecuzione forzata, come l’ipoteca o l’espropriazione, si atteggia come una misura cautelare conservativa strumentalmente e dunque soggetta all'applicazione non solo della disposizione dell' art. 77 del DPR n. 602/1973 ( Espropriazione immobiliare) ma anche dei precetti consacrati negli artt. 49 e seguenti ( Espropriazione forzata – Disposizioni Generali).
L' ipoteca, infatti, sebbene non sia un atto di espropriazione forzata in senso stretto, rimane comunque un provvedimento funzionale alla fase esecutiva.
Come giustamente osservato dalle Sezioni Unite della Suprema Corte, (sent. Cass. SSUU n. 2053 del 31.01.2006), l' iscrizione d' ipoteca - equiparabile al fermo amministrativo - "è preordinata all'espropriazione ".Tali procedure esecutive, così come stabilito dal recente articolo 7, comma 2, lettera gg-decies, della Legge n. 106/2011, disposizione normativa preceduta dalla Corte di cassazione, Sezioni unite civili-Sentenza 22 febbraio 2010, n. 4077 e Commissione Tributaria di Cosenza, Sez. 1 Sent. n. 429/01/2007 depositata il 05/11/2007, non potranno rendersi più operative nei confronti del ricorrente, in quanto l’importo dovuto è inferiore a otto mila euro.
Al riguardo, infatti, la Legge n. 106/2011 ha previsto la sospensione dell’esecuzione forzata per un periodo di centottanta giorni dall’affidamento in carico agli agenti della riscossione degli atti.
Relativamente, invece, alla legittimità della cartella di pagamento impugnata, perché sia valida a seguito della liquidazione delle imposte ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972, occorre che, nei termini di decadenza ex art. 25 del D.P.R. n. 602/1973, non solo l’Amministrazione finanziaria abbia formato il ruolo, ma che anche la relativa cartella di pagamento, «incorporante» il ruolo, sia stata legalmente notificata al contribuente.
Con il primo aspetto sopra descritto, relativo all’esecuzione forzata, la CTP di Messina ha sospeso l’esecutiva della riscossione della cartella di pagamento, mentre sul merito della legittimità, ha annullato la cartella di pagamento consolidando l’orientamento consolidato della giurisprudenza di merito.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Fatto
1.1 Con ricorso depositato in data 30 marzo 2012, il ricorrente, difeso dal Dott. Antonio Cogode, tributarista di Messina, ha impugnato la cartella di pagamento n. 295 2011 00041699 43 notificata in data 09/01/2012 dall’agente di riscossione Serit Sicilia SpA (società partecipata di Equitalia) per l’anno d’imposta 2007.
1.2 Con la cartella, emessa ai sensi dell’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972, in seguito al controllo automatizzato della dichiarazione Mod. Unico 2008 relativo all’anno di imposta 2007, la Serit Sicilia SpA, aveva intimato il pagamento totale di € 3.801,58 di cui € 413,54 per iscrizione a ruolo di Irpef e Addizionali; € 25,08 per compensi di riscossione e diritti di notifica della concessionaria ed € 3.362,96 richiesti dall’ente impositore (Agenzia delle Entrate) per sanzioni civili.
2.1 Il ricorrente, in via cautelativa, si è opposto alla riscossione coattiva richiedendone la sospensione per violazione dell’art.7, comma 2, lettera gg.decis, della legge n.106/2011.
2.2 La Serit Sicilia SpA non si è costituita in giudizio.
2.3 La commissione dell’ottava sezione, dopo aver avvisato le parti sulla trattazione di pubblica udienza avvenuta in data 08/11/2012, ha emesso il dispositivo di ordinanza n.336/08/12 depositato l’8/11/2012 e riportante il seguente testo: “ (…) Sospende l’esecuzione dell’atto impugnato (…)”
Diritto
3.1 Il ricorrente si è opposto alla cartella impugnata sulla base dei seguenti motivi di diritto: assenza di partecipazioni azionarie nella controllante Equitalia; Mancato invio della comunicazione prevista dall’art.6 comma 5 della legge 212/2000; omessa indicazione della data di consegna del ruolo e violazione dell’art.25 DPR 602/1973; sottoscrizione della cartella da parte di soggetti non legittimati (equivalente ad omessa sottoscrizione); Inesistenza della notifica inviata per posta senza l’ausilio di soggetti abilitati; decadenza dei termini di notifica della cartella.
3.2 Per quanto riguarda quest’ultimo punto, il ricorrente ha eccepito la nullità della cartella di pagamento impugnata per decadenza dei termini di riscossione, non essendo stato il suo ruolo portato ad effettiva conoscenza del contribuente mediante la notifica entro il termine previsto dall’art. 25, comma 1, lett. a, del D.P.R. n. 602/1973, in conformità al principio della «conoscenza degli atti» di cui all’art. 6, comma 1, della legge n.212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente).
Motivazione
4.1 Ha rilevato il Collegio che in materia di Imposte sul reddito, l’articolo 25 del D.P.R. n.602/1973, così come modificato dal Decreto Legge del 17 giugno 2005, n.106, articolo 1, com,ma 5 ter, prevede che la cartella esattoriale deve essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:
  1. del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero a quello di scadenza del versamento dell’unica o ultima rata se il termine per il versamento delle somme risultanti dalla dichiarazione scade oltre il 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione è presentata, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917;
  2. del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’articolo 36 ter del citato D.P.R. n.600 del 1973;
  3. del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio.
4.2 Alla stregua della riportata normativa, la cartella impugnata, recante il ruolo scaturente dal controllo automatizzato della dichiarazione Mod.UNICO 2008, relativo al periodo d’imposta 2007, notificata in data 09.01.2012, e dunque oltre al terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, deve ritenersi nulla per decadenza dei termini di notifica
PQM
Si è accolto il ricorso e si è condannata la la SERIT SICILIA SPA alle spese del giudizio che si sono quantificati forfettariamente in € 300,00.
NOTE FINALI
La sentenza che si è annotata, come accennato in precedenza, ha fatto seguito a precedenti giudizi (anch’essi conformi), in riferimento ai termini di notifica della cartella di pagamento sui controlli cosiddetti “automatizzati”, previsti dall’art. 36-bis del D.P.R. n. 600/1973 e dell’art. 54-bis del D.P.R. n. 633/1972.
A ciò va aggiunto che una diversa interpretazione del termine stabilito dall’art. 25 del D.P.R. n. 602/1973 violerebbe ineluttabilmente tutta una serie di principi costituzionalmente garantiti, abbandonando il contribuente all’indefinita soggezione dell’Amministrazione finanziaria.
La sentenza emessa dai giudici messinesi, pertanto, è conforme a quelle precedenti che hanno ben argomentato le esigenze di certezza del diritto, di definitività del rapporto tributario e non da ultimo il rispetto del diritto di difesa del contribuente.
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE
DI MESSINA
riunita con l’intervento dei Signori: SEZIONE 8
□ RENDE MARIO Presidente e Relatore REG.GENERALE
□ GIACOPONELLO MARIA GABRIELLA Giudice N.1867/12
□ STURNIOLO SANTI Giudice UDIENZA DEL
31/01/2013 ore 09:00
SENTENZA
N.163/8/13
PRONUNCIATA
31/1/13
DEPOSITATA IN
SEGRETERIA IL 28/2/13
ha emesso la seguente
SENTENZA
- sul ricorso n.1867/12 Il Segretario
depositato il 30/03/2012
IL SEGRETARIO DI SEZIONE
Nicolò ZANGHI’
- avverso CARTELLA DI PAGAMENTO n° 295 2011 0004 1699 43 IRPEF-ALTRO 2007
contro: AGENTE DI RISCOSSIONE MESSINA RISCOSSIONE SICILIA S.P.A.
proposto dal ricorrente:
****
difeso da:
COGODE ANTONIO
VIA MALVIZZI 4 98122 MESSINA ME
Il ricorrente sig. Cucè Benigno Impugna la cartella di pagamento, meglio indicata in epigrafe, recante l’iscrizione a ruolo di € 432,77 omesso pagamento, IRPEF e ADDIZ. Scaturente dal controllo automatico ex 36 bis DPR 600/73 della dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2007.
Oppone l’illegittimità della cartella impugnata per i seguenti motivi:
la carenza di legittimazione della SERIT SICILIA SPA a procedere alla riscossione dei tributi perché non ha partecipazioni azionarie nella controllante; Mancato invio della comunicazione previsto dall’art.6 comma 5 legge 212/2000; omessa indicazione della data di consegna del ruolo e violazione dell’art.25 DPR 602773; omessa sottoscrizione autografa dl responsabile del procedimento (La cartella reca solo il nome del responsabile in stampigliature; inesistenza della notifica inviata per posta, senza l’ausilio di soggetti abilitati; decadenza dei termini di notifica; nullità della cartella per decadenza dei termini di notifica
la SERIT SICILIA SPA non si è costituita.
MOTIVI
Rileva il collegio che in materia di Imposte sul reddito, l’articolo 25 del D.P.R. n.602/1973, così come modificato dal Decreto Legge del 17 giugno 2005, n.106, articolo 1, comma 5 ter, prevede che la cartella esattoriale deve essere notificata, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre:
  1. del terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, ovvero a quello di scadenza del versamento dell’unica o ultima rata se il termine per il versamento delle somme risultanti dalla dichiarazione scade oltre il 31 dicembre dell’anno in cui la dichiarazione è presentata, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di liquidazione prevista dall’articolo 36 bis del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, nonché del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione del sostituto d’imposta per le somme che risultano dovute ai sensi degli articoli 19 e 20 del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n.917;
  2. del quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, per le somme che risultano dovute a seguito dell’attività di controllo formale prevista dall’articolo 36 ter del citato D.P.R. n.600 del 1973;
  3. del secondo anno successivo a quello in cui l’accertamento è divenuto definitivo, per le somme dovute in base agli accertamenti dell’ufficio.
Alla stregua della riportata normativa, la cartella impugnata, recante il ruolo scaturente dal controllo automatizzato della dichiarazione Mod.UNICO 2008, relativo al periodo d’imposta 2007, notificata in data 09.01.2012, e dunque oltre al terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione, deve ritenersi nulla per decadenza dei termini di notifica
PQM
Si accoglie il ricorso e si condanna la la SERIT SICILIA SPA alle spese del giudizio che si quantificano forfettariamente in € 300,00
IL PRESIDENTE RELATORE.
Esistono una serie di vizi che possono comportare la nullità della cartella di pagamento: essi, quindi, giustificano un ricorso al giudice da parte del contribuente per ottenere l’annullamento dell’atto notificatogli.
Come però abbiamo già ricordato in due precedenti articoli (Riscossione e accertamento immediatamente esecutivo e Che fare se arriva un avviso di accertamento?), la proposizione del ricorso è comunque subordinata al pagamento di 1/3 dell’imposta: per cui, nonostante l’impugnazione, una parte della cartella va pagata ugualmente.

La cartella di pagamento può essere impugnata solo per vizi propri e non per vizi riguardanti il precedente atto impositivo (per es., l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, un verbale Inps, la liquidazione delle imposte da parte del Comune, e così via). Dunque, si possono impugnare solo i vizi formali, che attengono proprio alla richiesta in sé di pagamento da parte di Equitalia e non i vizi dell’atto originario da cui nasce il debito.

Il contribuente che voglia impugnare i vizi del precedente accertamento lo può fare solo impugnando quel primo atto, altrimenti decade da tale possibilità e l’accertamento diventa definitivo [1]. A tale regola fanno eccezione – come vedremo più avanti – solo gli atti con cui il contribuente venga a conoscenza della pretesa impositiva, per la prima volta, proprio attraverso la notifica della cartella esattoriale [2].

Errori di calcolo
Rientrano comunque tra i vizi “propri” del ruolo e della cartella gli errori di calcolo dell’imposta iscritta a ruolo come quelli che potrebbero derivare da un errore materiale o un errore di calcolo che l’Ufficio potrebbe aver compiuto in sede di iscrizione a ruolo delle somme (al riguardo, pertanto, bisogna confrontare le singole leggi d’imposta che disciplinano le varie categorie di iscrizione a ruolo).

Difetto di motivazione
Per individuare i vizi del ruolo e della cartella che possono comportarne la nullità, bisogna conoscere gli elementi essenziali di tali atti.
1) Il ruolo deve indicare:
- codice fiscale del contribuente;
- la specie del ruolo;
- la data in cui il ruolo diverrà definitivo;
- il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento o, in mancanza, la motivazione – anche sintetica – della pretesa.
Se mancano tali indicazioni, non si può procedere all’iscrizione a ruolo [3].

2) La cartella (o l’avviso di accertamento) deve indicare:
- il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento o, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria [4].
Senza questa indicazione, infatti, per il contribuente sarebbe assai difficile comprendere le ragioni della pretesa di Equitalia e si violerebbe l’obbligo della chiarezza e motivazione degli atti impositivi, obbligo sancito dalla legge [5].
L’ente impositore, pertanto, ha sempre l’obbligo di chiarire nella cartella esattoriale, sia pure succintamente, le ragioni dell’iscrizione a ruolo, in modo da consentire al contribuente l’esercizio della difesa.
Tali indicazioni possono consistere nell’indicazione della mera causale o nella motivazione vera e propria [6]. Bisogna insomma indicare il tipo di violazione addebitata e le causali dei singoli importi richiesti.

L’Amministrazione non si può limitare a indicare soltanto il tipo dell’imposta iscritta a ruolo e l’importo ad essa corrispondente. Occorre invece, a pena di nullità della cartella, indicare dati e circostanze che hanno fatto sorgere l’obbligo in capo al contribuente, e le norme relative [7].

Motivazione per richiamo di altri atti
L’obbligo di motivazione può essere adempiuto se l’Amministrazione richiama precedenti atti del procedimento, già comunicati al contribuente e, in particolare, il verbale di accertamento [8]. Questa tecnica è valida solo a condizione che tali atti siano stati correttamente notificati al cittadino; diversamente, infatti, non avrebbe senso richiamare, nella motivazione, dei provvedimenti di cui il destinatario non ha mai preso conoscenza.
Quindi è sempre bene, una volta ricevuta una cartella di pagamento, verificare che gli atti su cui essa è fondata e che vengono richiamati all’interno della cartella (quale giustificazione della stessa) siano stati ricevuti con una notifica regolare.

Se invece non vi è mai stato un precedente atto o avviso di accertamento o di liquidazione, allora la cartella esattoriale deve contenere una dettagliata motivazione della pretesa, per consentire al contribuente il necessario controllo sulla correttezza della pretesa impositiva [9].

Senza, del resto, tali chiarimenti nella cartella, non avrebbe neanche senso consentire al contribuente un termine di 60 giorni per scegliere se pagare la cartella o presentare un ricorso al giudice: termine che gli viene evidentemente concesso proprio perché egli possa predisporre le proprie difese. Ma come potrebbe difendersi da una richiesta di cui non conosce la motivazione?

Pertanto, la cartella priva dell’indicazione degli elementi identificativi della pretesa va annullata: è questo l’orientamento di numerosi tribunali [10]. Gli importi richiesti dall’Amministrazione devono essere comprensibili e consentire al contribuente la possibilità di una rapida verifica sull’esattezza dei dati e calcoli forniti dall’ufficio [11].
Non spetta al cittadino, dunque, pervenire alla ricostruzione della pretesa impositiva attraverso operazioni interpretative condotte sulla base di elementi offerti in forma criptica nella cartella [12].

L’obbligo della motivazione diventa particolarmente pregnante nel caso di cartella di pagamento derivante da liquidazione automatica o da controllo formale. Infatti, in tali casi, la cartella è il primo e unico atto notificato al contribuente, non essendovi stato alcun avviso di accertamento. Pertanto la cartella deve contenere “un chiaro riferimento alla natura e ai motivi della pretesa” [13]. Sarebbe nulla una cartella da cui non si evinca quali atti siano stati portati a riscossione o quando gli estremi dei provvedimenti relativi alle iscrizioni a ruolo siano errati.
Senza l’indicazione della motivazione la cartella di pagamento è nulla.


[1] Cass. sent. n. 1434 del 25.01.2006; Cass. sent. n. 21477 del 11.11.2004;  Cass. sent. n. 17937 del 06.09.2004; Cass. sent. n. 6029 del 24.04.2002.
[2] Cass. sent. n. 23184 del 16.11.2005; Cass. sent. n. 21477/2004; Cass. sent. n. 3231/2005.
[3] Art. 12, comma 3, DPR 602/73.
[4] Art. 7, comma, 3, L. n. 212/2000.
[5] Art. 7, l. n. 212/2000. Cass. sent. n. 18415 del 16.09.2005.
[6] Cass. sent. n. 18415 del 16.09.2005; Cass. sent. n. 15638 del 12.08.2004; Cass. sent. n. 17947 del 6.09.2004.
[7] Così Perrucci, in Riscossione sempre più travagliata, in Boll. Trib. n. 14/2001.
[8] Cass. setn. N. 19209 del 8.09.2010.
[9] Cass. sent. n. 11722 del 14.05.20120.
[10] Comm. Trib. Torino, sent. n. 38 del 24.09.2008.
[11] Comm. Trib. Torino, sent. n. 42 del 25.09.2008.
[12] Comm. Trib. Prov. Avellino, sent. del 17.03.2008.
[13] Cass. sent. n. 18415/2005. Per un contrario orientamento confronta Cass. sent. n. 26671/2009. Secondo quest’ultima, al contrario dell’orientamento riportato nell’articolo, “nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente nella propria dichiarazione, nonché qualora vengano richiesti interessi e sovratasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima”.

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Esistono una serie di vizi che possono comportare la nullità della cartella di pagamento: essi, quindi, giustificano un ricorso al giudice da parte del contribuente per ottenere l’annullamento dell’atto notificatogli.
Come però abbiamo già ricordato in due precedenti articoli (Riscossione e accertamento immediatamente esecutivo e Che fare se arriva un avviso di accertamento?), la proposizione del ricorso è comunque subordinata al pagamento di 1/3 dell’imposta: per cui, nonostante l’impugnazione, una parte della cartella va pagata ugualmente.

La cartella di pagamento può essere impugnata solo per vizi propri e non per vizi riguardanti il precedente atto impositivo (per es., l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, un verbale Inps, la liquidazione delle imposte da parte del Comune, e così via). Dunque, si possono impugnare solo i vizi formali, che attengono proprio alla richiesta in sé di pagamento da parte di Equitalia e non i vizi dell’atto originario da cui nasce il debito.

Il contribuente che voglia impugnare i vizi del precedente accertamento lo può fare solo impugnando quel primo atto, altrimenti decade da tale possibilità e l’accertamento diventa definitivo [1]. A tale regola fanno eccezione – come vedremo più avanti – solo gli atti con cui il contribuente venga a conoscenza della pretesa impositiva, per la prima volta, proprio attraverso la notifica della cartella esattoriale [2].

Errori di calcolo
Rientrano comunque tra i vizi “propri” del ruolo e della cartella gli errori di calcolo dell’imposta iscritta a ruolo come quelli che potrebbero derivare da un errore materiale o un errore di calcolo che l’Ufficio potrebbe aver compiuto in sede di iscrizione a ruolo delle somme (al riguardo, pertanto, bisogna confrontare le singole leggi d’imposta che disciplinano le varie categorie di iscrizione a ruolo).

Difetto di motivazione
Per individuare i vizi del ruolo e della cartella che possono comportarne la nullità, bisogna conoscere gli elementi essenziali di tali atti.
1) Il ruolo deve indicare:
- codice fiscale del contribuente;
- la specie del ruolo;
- la data in cui il ruolo diverrà definitivo;
- il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento o, in mancanza, la motivazione – anche sintetica – della pretesa.
Se mancano tali indicazioni, non si può procedere all’iscrizione a ruolo [3].

2) La cartella (o l’avviso di accertamento) deve indicare:
- il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento o, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria [4].
Senza questa indicazione, infatti, per il contribuente sarebbe assai difficile comprendere le ragioni della pretesa di Equitalia e si violerebbe l’obbligo della chiarezza e motivazione degli atti impositivi, obbligo sancito dalla legge [5].
L’ente impositore, pertanto, ha sempre l’obbligo di chiarire nella cartella esattoriale, sia pure succintamente, le ragioni dell’iscrizione a ruolo, in modo da consentire al contribuente l’esercizio della difesa.
Tali indicazioni possono consistere nell’indicazione della mera causale o nella motivazione vera e propria [6]. Bisogna insomma indicare il tipo di violazione addebitata e le causali dei singoli importi richiesti.

L’Amministrazione non si può limitare a indicare soltanto il tipo dell’imposta iscritta a ruolo e l’importo ad essa corrispondente. Occorre invece, a pena di nullità della cartella, indicare dati e circostanze che hanno fatto sorgere l’obbligo in capo al contribuente, e le norme relative [7].

Motivazione per richiamo di altri atti
L’obbligo di motivazione può essere adempiuto se l’Amministrazione richiama precedenti atti del procedimento, già comunicati al contribuente e, in particolare, il verbale di accertamento [8]. Questa tecnica è valida solo a condizione che tali atti siano stati correttamente notificati al cittadino; diversamente, infatti, non avrebbe senso richiamare, nella motivazione, dei provvedimenti di cui il destinatario non ha mai preso conoscenza.
Quindi è sempre bene, una volta ricevuta una cartella di pagamento, verificare che gli atti su cui essa è fondata e che vengono richiamati all’interno della cartella (quale giustificazione della stessa) siano stati ricevuti con una notifica regolare.

Se invece non vi è mai stato un precedente atto o avviso di accertamento o di liquidazione, allora la cartella esattoriale deve contenere una dettagliata motivazione della pretesa, per consentire al contribuente il necessario controllo sulla correttezza della pretesa impositiva [9].

Senza, del resto, tali chiarimenti nella cartella, non avrebbe neanche senso consentire al contribuente un termine di 60 giorni per scegliere se pagare la cartella o presentare un ricorso al giudice: termine che gli viene evidentemente concesso proprio perché egli possa predisporre le proprie difese. Ma come potrebbe difendersi da una richiesta di cui non conosce la motivazione?

Pertanto, la cartella priva dell’indicazione degli elementi identificativi della pretesa va annullata: è questo l’orientamento di numerosi tribunali [10]. Gli importi richiesti dall’Amministrazione devono essere comprensibili e consentire al contribuente la possibilità di una rapida verifica sull’esattezza dei dati e calcoli forniti dall’ufficio [11].
Non spetta al cittadino, dunque, pervenire alla ricostruzione della pretesa impositiva attraverso operazioni interpretative condotte sulla base di elementi offerti in forma criptica nella cartella [12].

L’obbligo della motivazione diventa particolarmente pregnante nel caso di cartella di pagamento derivante da liquidazione automatica o da controllo formale. Infatti, in tali casi, la cartella è il primo e unico atto notificato al contribuente, non essendovi stato alcun avviso di accertamento. Pertanto la cartella deve contenere “un chiaro riferimento alla natura e ai motivi della pretesa” [13]. Sarebbe nulla una cartella da cui non si evinca quali atti siano stati portati a riscossione o quando gli estremi dei provvedimenti relativi alle iscrizioni a ruolo siano errati.
Senza l’indicazione della motivazione la cartella di pagamento è nulla.


[1] Cass. sent. n. 1434 del 25.01.2006; Cass. sent. n. 21477 del 11.11.2004;  Cass. sent. n. 17937 del 06.09.2004; Cass. sent. n. 6029 del 24.04.2002.
[2] Cass. sent. n. 23184 del 16.11.2005; Cass. sent. n. 21477/2004; Cass. sent. n. 3231/2005.
[3] Art. 12, comma 3, DPR 602/73.
[4] Art. 7, comma, 3, L. n. 212/2000.
[5] Art. 7, l. n. 212/2000. Cass. sent. n. 18415 del 16.09.2005.
[6] Cass. sent. n. 18415 del 16.09.2005; Cass. sent. n. 15638 del 12.08.2004; Cass. sent. n. 17947 del 6.09.2004.
[7] Così Perrucci, in Riscossione sempre più travagliata, in Boll. Trib. n. 14/2001.
[8] Cass. setn. N. 19209 del 8.09.2010.
[9] Cass. sent. n. 11722 del 14.05.20120.
[10] Comm. Trib. Torino, sent. n. 38 del 24.09.2008.
[11] Comm. Trib. Torino, sent. n. 42 del 25.09.2008.
[12] Comm. Trib. Prov. Avellino, sent. del 17.03.2008.
[13] Cass. sent. n. 18415/2005. Per un contrario orientamento confronta Cass. sent. n. 26671/2009. Secondo quest’ultima, al contrario dell’orientamento riportato nell’articolo, “nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente nella propria dichiarazione, nonché qualora vengano richiesti interessi e sovratasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima”.

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Esistono una serie di vizi che possono comportare la nullità della cartella di pagamento: essi, quindi, giustificano un ricorso al giudice da parte del contribuente per ottenere l’annullamento dell’atto notificatogli.
Come però abbiamo già ricordato in due precedenti articoli (Riscossione e accertamento immediatamente esecutivo e Che fare se arriva un avviso di accertamento?), la proposizione del ricorso è comunque subordinata al pagamento di 1/3 dell’imposta: per cui, nonostante l’impugnazione, una parte della cartella va pagata ugualmente.

La cartella di pagamento può essere impugnata solo per vizi propri e non per vizi riguardanti il precedente atto impositivo (per es., l’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, un verbale Inps, la liquidazione delle imposte da parte del Comune, e così via). Dunque, si possono impugnare solo i vizi formali, che attengono proprio alla richiesta in sé di pagamento da parte di Equitalia e non i vizi dell’atto originario da cui nasce il debito.

Il contribuente che voglia impugnare i vizi del precedente accertamento lo può fare solo impugnando quel primo atto, altrimenti decade da tale possibilità e l’accertamento diventa definitivo [1]. A tale regola fanno eccezione – come vedremo più avanti – solo gli atti con cui il contribuente venga a conoscenza della pretesa impositiva, per la prima volta, proprio attraverso la notifica della cartella esattoriale [2].

Errori di calcolo
Rientrano comunque tra i vizi “propri” del ruolo e della cartella gli errori di calcolo dell’imposta iscritta a ruolo come quelli che potrebbero derivare da un errore materiale o un errore di calcolo che l’Ufficio potrebbe aver compiuto in sede di iscrizione a ruolo delle somme (al riguardo, pertanto, bisogna confrontare le singole leggi d’imposta che disciplinano le varie categorie di iscrizione a ruolo).

Difetto di motivazione
Per individuare i vizi del ruolo e della cartella che possono comportarne la nullità, bisogna conoscere gli elementi essenziali di tali atti.
1) Il ruolo deve indicare:
- codice fiscale del contribuente;
- la specie del ruolo;
- la data in cui il ruolo diverrà definitivo;
- il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento o, in mancanza, la motivazione – anche sintetica – della pretesa.
Se mancano tali indicazioni, non si può procedere all’iscrizione a ruolo [3].

2) La cartella (o l’avviso di accertamento) deve indicare:
- il riferimento all’eventuale precedente atto di accertamento o, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria [4].
Senza questa indicazione, infatti, per il contribuente sarebbe assai difficile comprendere le ragioni della pretesa di Equitalia e si violerebbe l’obbligo della chiarezza e motivazione degli atti impositivi, obbligo sancito dalla legge [5].
L’ente impositore, pertanto, ha sempre l’obbligo di chiarire nella cartella esattoriale, sia pure succintamente, le ragioni dell’iscrizione a ruolo, in modo da consentire al contribuente l’esercizio della difesa.
Tali indicazioni possono consistere nell’indicazione della mera causale o nella motivazione vera e propria [6]. Bisogna insomma indicare il tipo di violazione addebitata e le causali dei singoli importi richiesti.

L’Amministrazione non si può limitare a indicare soltanto il tipo dell’imposta iscritta a ruolo e l’importo ad essa corrispondente. Occorre invece, a pena di nullità della cartella, indicare dati e circostanze che hanno fatto sorgere l’obbligo in capo al contribuente, e le norme relative [7].

Motivazione per richiamo di altri atti
L’obbligo di motivazione può essere adempiuto se l’Amministrazione richiama precedenti atti del procedimento, già comunicati al contribuente e, in particolare, il verbale di accertamento [8]. Questa tecnica è valida solo a condizione che tali atti siano stati correttamente notificati al cittadino; diversamente, infatti, non avrebbe senso richiamare, nella motivazione, dei provvedimenti di cui il destinatario non ha mai preso conoscenza.
Quindi è sempre bene, una volta ricevuta una cartella di pagamento, verificare che gli atti su cui essa è fondata e che vengono richiamati all’interno della cartella (quale giustificazione della stessa) siano stati ricevuti con una notifica regolare.

Se invece non vi è mai stato un precedente atto o avviso di accertamento o di liquidazione, allora la cartella esattoriale deve contenere una dettagliata motivazione della pretesa, per consentire al contribuente il necessario controllo sulla correttezza della pretesa impositiva [9].

Senza, del resto, tali chiarimenti nella cartella, non avrebbe neanche senso consentire al contribuente un termine di 60 giorni per scegliere se pagare la cartella o presentare un ricorso al giudice: termine che gli viene evidentemente concesso proprio perché egli possa predisporre le proprie difese. Ma come potrebbe difendersi da una richiesta di cui non conosce la motivazione?

Pertanto, la cartella priva dell’indicazione degli elementi identificativi della pretesa va annullata: è questo l’orientamento di numerosi tribunali [10]. Gli importi richiesti dall’Amministrazione devono essere comprensibili e consentire al contribuente la possibilità di una rapida verifica sull’esattezza dei dati e calcoli forniti dall’ufficio [11].
Non spetta al cittadino, dunque, pervenire alla ricostruzione della pretesa impositiva attraverso operazioni interpretative condotte sulla base di elementi offerti in forma criptica nella cartella [12].

L’obbligo della motivazione diventa particolarmente pregnante nel caso di cartella di pagamento derivante da liquidazione automatica o da controllo formale. Infatti, in tali casi, la cartella è il primo e unico atto notificato al contribuente, non essendovi stato alcun avviso di accertamento. Pertanto la cartella deve contenere “un chiaro riferimento alla natura e ai motivi della pretesa” [13]. Sarebbe nulla una cartella da cui non si evinca quali atti siano stati portati a riscossione o quando gli estremi dei provvedimenti relativi alle iscrizioni a ruolo siano errati.
Senza l’indicazione della motivazione la cartella di pagamento è nulla.


[1] Cass. sent. n. 1434 del 25.01.2006; Cass. sent. n. 21477 del 11.11.2004;  Cass. sent. n. 17937 del 06.09.2004; Cass. sent. n. 6029 del 24.04.2002.
[2] Cass. sent. n. 23184 del 16.11.2005; Cass. sent. n. 21477/2004; Cass. sent. n. 3231/2005.
[3] Art. 12, comma 3, DPR 602/73.
[4] Art. 7, comma, 3, L. n. 212/2000.
[5] Art. 7, l. n. 212/2000. Cass. sent. n. 18415 del 16.09.2005.
[6] Cass. sent. n. 18415 del 16.09.2005; Cass. sent. n. 15638 del 12.08.2004; Cass. sent. n. 17947 del 6.09.2004.
[7] Così Perrucci, in Riscossione sempre più travagliata, in Boll. Trib. n. 14/2001.
[8] Cass. setn. N. 19209 del 8.09.2010.
[9] Cass. sent. n. 11722 del 14.05.20120.
[10] Comm. Trib. Torino, sent. n. 38 del 24.09.2008.
[11] Comm. Trib. Torino, sent. n. 42 del 25.09.2008.
[12] Comm. Trib. Prov. Avellino, sent. del 17.03.2008.
[13] Cass. sent. n. 18415/2005. Per un contrario orientamento confronta Cass. sent. n. 26671/2009. Secondo quest’ultima, al contrario dell’orientamento riportato nell’articolo, “nel caso di mera liquidazione dell’imposta sulla base dei dati forniti dal contribuente nella propria dichiarazione, nonché qualora vengano richiesti interessi e sovratasse per ritardato od omesso pagamento, il contribuente si trova già nella condizione di conoscere i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche della pretesa fiscale, con l’effetto che l’onere di motivazione può considerarsi assolto dall’Ufficio mediante mero richiamo alla dichiarazione medesima”.

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Effetti della mancata notifica della comunicazione di irregolarità ex art. 36 bis del D.P.R. 600/73 (Nota alla sentenza della C. T. R. Campania, sez. 20, n. 64/20/07 del 15.05.07)





Sommario: 1. Introduzione - 2. I termini per l’iscrizione a ruolo e la notifica delle cartelle esattoriali previsti dal DPR 602/73 - 3. Le Comunicazioni di irregolarità ex artt. 36 bis e 36 ter del DPR 600/73 – 4. Conclusioni

1. Introduzione
Il contribuente produceva ricorso avverso due cartelle esattoriali relative agli esiti del controllo formale delle dichiarazioni dei redditi operato ai sensi dell’art. 36 bis del DPR 600/73 da parte dell’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate per gli anni di imposta 1998 e 1999.
Veniva eccepita, in via preliminare, la decadenza dei termini posti a carico dell’Amministrazione Finanziaria sia per l’iscrizione a ruolo prevista per l’art. 36 bis (il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione ex art. 17 DPR 602/73, abrogato con L. 156 del 31.07.2005) e sia per la tardiva notifica della cartella esattoriale da parte del Concessionario della Riscossione.
Si appellava, inoltre, alla violazione delle norme procedurali relative alle iscrizioni a ruolo nonché dell’art. 6, comma 5 dello Statuto del Contribuente in quanto l’Ufficio aveva l’obbligo di notificare al contribuente un avviso o invito di pagamento adeguatamente motivato.
Il ricorrente, inoltre, eccepiva la carenza di motivazione delle cartelle esattoriali in quanto sprovviste di un’adeguata motivazione della pretesa erariale necessaria per poter esperire una valida difesa ex art. 24 della Costituzione.
In relazione a tale carenza di motivazione delle cartelle esattoriali ed alla violazione delle norme procedurali propedeutiche, la CTR ha ritenuto fondato e meritevole di accoglimento l’appello del contribuente.
Più specificamente, i giudici rilevavano come l’Ufficio, in sede di giudizio, si sia limitato solo a sostenere che si trattava di un omesso versamento delle imposte senza produrre alcun riscontro documentale, mentre dalle cartelle risultava un’imposta dovuta superiore a quella dichiarata. Nel dispositivo i giudici sottolineavano che “Non può certamente condividersi l’affermazione dell’Ufficio secondo la quale una cartella esattoriale derivante dalla liquidazione formale della dichiarazione dei redditi possa essere impunemente sprovvista di adeguata motivazione. Tale carenza di motivazioni risulta aggravata dalla eccepita mancata notifica dell’avviso o dell’invito al pagamento”(1).
Come rilevato dai giudici, la soppressione del comma 3 dell’art 7 del D. Lgs. 546/92(2) impedisce al Giudice di disporre istruttorie per l’acquisizione di ulteriori documenti e conseguentemente non potevano che ritenere le cartelle contestate assimilabili ad una prima richiesta riferita alla pretesa impositiva(3).
Conseguentemente, la mancata dimostrazione da parte dell’Ufficio della notifica della comunicazione d’irregolarità congiuntamente alla carenza di motivazione delle cartelle esattoriali ha portato i giudici della CTR Campania a riconoscere la nullità di queste ultime in quanto non hanno consentito il legittimo esercizio del diritto di difesa del contribuente ex art. 24 della Costituzione.

2. I termini decadenziali previsti dal D.P.R. 602/73 per l’iscrizione a ruolo e per la notifica delle cartelle esattoriali.
La problematica relativa ai termini previsti per le iscrizioni a ruolo dei debiti erariali e per la conseguente notifica delle cartelle di pagamento (oggetto di varie modifiche normative fino all’anno 2005) ex art. 36 bis merita di essere approfondita in quanto ha creato non poca confusione tra la platea dei contribuenti circa la sua  natura ordinatoria o perentoria.
Il riferimento normativo per l’iscrizione a ruolo era rappresentato dall’art. 17 (oramai abrogato) e per la notifica delle cartelle di pagamento, dall’art. 25 del DPR 602/73.
La legislazione vigente nel periodo in cui è stata commessa la supposta violazione prevedeva, ai sensi dell’art. 17 D.P.R. 602/73 che “… il ruolo delle imposte liquidate al contribuente deve essere reso esecutivo entro il 31/12 del quinto anno successivo a quello della presentazione della dichiarazione”e secondo quanto disposto, ratione temporis, dall’art. 25 D.P.R. 602/73 (in vigore dal 01.07.1999 sino al 08.06.2001) “il concessionario notifica la cartella di pagamento entro l’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo, al debitore o al coobbligato nei confronti del quale procede”.
All’uopo si evidenzia che la Corte Costituzionale con ordinanza n. 107 del 01/04/2003 confermava  quanto già espresso dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 7662 del 16/07/99.
Infatti la Corte Suprema ribadiva la perentorietà del termine previsto dall’art. 25 del D.P.R. 602/73 affermando che “… tale ultima norma… ben si presta ad essere interpretata in senso tale da escludere la paventata indefinita soggezione del contribuente all’azione esecutiva del fisco, essendo l’esattore soggetto ai ristretti termini di cui all’art. 25 per la notificazione della cartella; che il carattere perentorio di un termine non deve necessariamente risultare esplicitamente dalla norma, potendosi desumere dalla funzione, ricavabile con chiarezza dal testo della legge, che il termine è chiamato a svolgere”. Pertanto sia l’Ordinanza della Corte Costituzionale che la Sentenza n. 7662/99 della Corte di Cassazione hanno inteso il disposto del citato art. 25 quale termine perentorio per la notifica della cartella di pagamento posto a tutela del contribuente al fine di non esporre lo stesso ad una indefinita azione esecutiva del fisco(4).
A chiarire definitivamente la questione circa la natura di tale termine è intervenuta la Corte Costituzionale dapprima con Ordinanza n. 352 del 2004 e successivamente con la sentenza n. 280 del 15/07/2005.
L’Ordinanza ha ribadito la natura perentoria del termine previsto dall’art. 25 DPR 602/73, mentre la sentenza n. 280 del 2005 ha sancito l’illegittimità costituzionale dell’art. 25 DPR 602/73, così come modificato dal D. Lgs. n. 193 del 2001 “…in relazione agli art. 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui non prevede un termine fissato a pena di decadenza, entro il quale il concessionario deve notificare al contribuente la cartella di pagamento delle imposte liquidate ai sensi dell’art. 36 bis del DPR 600/73 e ciò per evitare che il contribuente sia “indefinitivamente” esposto alla procedura esecutiva”(5).
Al fine di chiarire l’ambito di applicazione della disposizione in esame è necessario sintetizzare le modifiche normative subite nel tempo dall’art. 25 DPR 602/73.
Inizialmente l’art. 25 stabiliva il termine ultimo per la notifica della cartella esattoriale nel quinto giorno del mese successivo a quello di consegna dei ruoli all’esattore. Successivamente - a seguito della modifica operata dall’art. 11 del D. Lgs. n. 46 del 1999, in vigore dal 01/07/1999 -  tale termine veniva fissato nell’ultimo giorno del quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo all’esattore. Infine l’art. 25 (nella formulazione risultante dalla modifica ex art. 1, comma 1 lett. b) del D.Lgs n. 193 del 2001) in vigore dal 09.06.2001 non prevedeva più alcun termine per la notifica delle cartelle esattoriali.
Ciò premesso, la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale(6) l’art. 25 “…nella parte in cui non prevede, per la notifica al contribuente della cartella di pagamento un termine, fissato a pena di decadenza….”
E si segnala che, alla luce di quanto affermato dalla Corte Costituzionale, il Legislatore ha colmato tale lacuna legis con l’art. 1, comma 5 bis del D.L. 17/06/2005 n. 106 -  convertito dalla Legge 31/07/2005 n. 156 – nel quale è stato stabilito relativamente alle dichiarazioni presentate fino al 31/12/2001 che la notifica delle cartelle di pagamento scaturenti dal controllo ex art. 36 bis DPR 600/73 deve essere eseguita, a pena di decadenza, entro il 31/12 del quinto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione.
E tale termine deve necessariamente considerarsi perentorio in quanto molto chiaramente nella sentenza n. 280/2005  la Corte Costituzionale ha condiviso la tesi dei giudici rimettenti che avevano denunciato “…come contrastante con il precetto di cui all’art. 24 della Costituzione, l’art. 25 del DPR 602/73, come modificato dal D. Lgs. 193 del 2001: modifica consistita nella pura e semplice soppressione delle parole attraverso le quali era fissato per la notifica della Cartella di Pagamento un termine che questa Corte (Ordinanza n. 107 del 2003) e la giurisprudenza di legittimità avevano qualificato, perché solo così inteso soddisfaceva inderogabili esigenze costituzionali, come di decadenza”. Ed ha aggiunto: “… nel ribadire tale principio, riaffermato nell’Ordinanza n. 352 del 2004, questa Corte non può che trarne la conseguenza della illegittimità costituzionale dell’art. 25… non essendo consentito dall’art. 24 della Costituzione lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato e comunque,  se corrispondente a quello ordinario di prescrizione, certamente eccessivo ed irragionevole”. Inoltre viene specificato al  punto 4.1: “….Come emerge dalla sommaria descrizione delle disposizioni che si sono succedute nel disciplinare il procedimento di riscossione delle imposte liquidate ex art. 36 bis del DPR 600/73, l’atto finale ed “esterno” del procedimento stesso (la notifica della cartella) è sempre stato legato ad un atto precedente (consegna dei ruoli all’esattore) a sua volta legato ad atti preesistenti: e poiché questa concatenazione di atti era scandita da termini, a partire da ciascuno dei quali decorreva il successivo, ne derivava – per quanto generosi, rispetto all’elementare attività demandata all’Amministrazione, fossero quei termini – certezza relativamente al termine ultimo entro il quale il contribuente doveva venire a conoscenza della pretesa del fisco”.
Emerge, chiaramente e con vigore, che tale termine non può che ritenersi perentorio a pena di decadenza, così come sancito dalla Corte Costituzionale.
Nella sentenza in commento, la CTR Campania ha avallato la decisione dei giudici di prima istanza che “Ritenevano altresì che relativamente agli atti in contestazione, "ragione temporis" per l’effetto delle modifiche normative apportate all'art. 25 del DPR 602/73, non vi era un termine stabilito per la notifica delle cartelle esattoriali in questione.” Dal dispositivo della sentenza non emergono le date oggetto di contestazione  –  ossia di iscrizione a ruolo e di notifica delle cartelle di pagamento –  quindi risulta impossibile un esame del rispetto di tali termini decadenziali perentori, ma, a parere dello scrivente, gli effetti della declaratoria di incostituzionalità della mancata previsione di un termine per la notifica delle cartelle esattoriali ex art. 25 dovevano essere oggetto di valutazione sia dei Giudici di prime cure che di Appello i quali, invece, si sono semplicemente riferiti alla vecchia formulazione in cui non era previsto alcun termine per la notifica delle cartelle esattoriali(7).

3. Le Comunicazione di irregolarità ex artt. 36 bis e 36 ter del DPR 600/73.
La liquidazione ed i controlli formali delle dichiarazioni dei redditi sono disciplinati dall’art 36 bis e 36 ter del DPR 600/73(8).
La liquidazione della dichiarazione ex art. 36 bis(9) è oramai svolta in via automatizzata dal Sistema Informatico dell’Agenzia delle Entrate (in passato era una procedura eseguita manualmente) e consente di:
  • correggere gli errori materiali e di calcolo commessi nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi, nonché nel riporto delle eccedenze d’imposta e dei contributi risultanti dalle precedenti dichiarazioni;
  • ridurre le detrazioni, le deduzioni e i crediti esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni;
  • verificare la congruità e la tempestività dei versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti nonché delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto d’imposta.
La procedura di liquidazione deve concludersi entro l’inizio del periodo di presentazione delle dichiarazioni relative all’anno successivo, ma tale termine deve considerarsi ordinatorio e non perentorio(10).
Se la liquidazione automatica non riscontra alcun errore, al contribuente viene inviata una comunicazione di regolarità; qualora, invece, dalla liquidazione emerge un risultato diverso da quello indicato in dichiarazione l’Agenzia provvede ad inviare al contribuente o al sostituto d’imposta un’apposita comunicazione d’irregolarità  in modo da evitare il ripetersi di errori nelle successive dichiarazioni, regolarizzare gli aspetti formali e consentire al contribuente o al sostituto d’imposta di comunicare all’Amministrazione Finanziaria eventuali dati ed elementi non considerati nella fase di liquidazione. Se il contribuente provvede al versamento delle somme richieste entro trenta giorni, beneficia della riduzione del pagamento della sanzione, altrimenti l’importo dovuto sarà oggetto di iscrizione a ruolo e successivamente, a cura del Concessionario della Riscossione, sarà emessa una cartella di pagamento.
Il controllo formale ex art 36 ter, invece, interessa solo le dichiarazioni dei redditi selezionate in base a criteri fissati annualmente dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate.
Con il controllo formale strictu sensu, viene verificata la conformità dei dati esposti in dichiarazione con la documentazione conservata dal contribuente e i dati desunti dalle dichiarazioni presentate da altri soggetti o trasmessi per legge da enti previdenziali ed assistenziali, banche e imprese assicuratrici.
A questo fine il contribuente è invitato dall'ufficio ad esibire o trasmettere entro 30 giorni la documentazione attestante la correttezza dei dati dichiarati e a fornire chiarimenti nel caso siano riscontrate incongruenze tra questi ultimi ed i dati in possesso dell'Agenzia.
Tale controllo permette di:
  • escludere in tutto o in parte lo scomputo delle ritenute d'acconto;
  • escludere in tutto o in parte le detrazioni d'imposta e le deduzioni dal reddito non spettanti in base ai documenti richiesti ai contribuenti;
  • determinare i crediti d'imposta spettanti in base ai dati risultanti dalle dichiarazioni e ai documenti richiesti ai contribuenti;
  • correggere gli errori materiali e di calcolo commessi nelle dichiarazioni dei sostituti d'imposta.
La procedura deve concludersi entro il 31 dicembre del secondo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione4.
Le comunicazioni relative agli esiti della liquidazione ed alle richieste per il controllo formale delle dichiarazioni dei redditi – ex art. 36 bis e 36 ter (11) – vengono recapitate ai contribuenti attraverso una raccomandata postale “non rituale”e quindi senza ricevuta di ritorno. Quindi Poste Italiane conferma, attraverso la trasmissione del numero progressivo della raccomandata agli Uffici Finanziari, l’avvenuto recapito della comunicazione, ma non può documentare l’avvenuta notifica in mancanza della ricevuta di ritorno e la correlata firma del destinatario ai sensi dell’art. 137 c.p.c. e ss.
La rettifica effettuata ai sensi dell’art. 36 ter posta in essere successivamente ai 30 giorni concessi al contribuente per far valere le proprie ragioni, viene notificata “ritualmente” a mezzo raccomandata R/R concedendo allo stesso altri 30 giorni per la segnalazione di eventuali dati ed elementi non valutati dall’Ufficio.
Invece gli esiti della liquidazione ex 36 bis conseguenti alla comunicazione d‘irregolarità, non seguono tale procedura, ma sono direttamente iscritti a ruolo e ciò in base ad una precisa ratio, di seguito esaminata.

4. Conclusioni
Premesso che la sentenza in commento è pur sempre un giudizio di secondo grado e quindi impugnabile in Cassazione, un aspetto rilevante, a parere dello scrivente, riguarda il riferimento al dettato normativo dello Statuto del Contribuente che il legislatore, in sede parlamentare – spesso distratto in materia perché guidato dalla priorità di esigenze di “cassa”, piuttosto che dal “buonsenso” in relazione al rispetto dei principi ivi sanciti – costantemente non lo ha ritenuto meritevole di attenzione, principalmente per quanto attiene la previsione del divieto di disposizioni retroattive in materia tributaria(12).
Ben venga, quindi, da parte dei giudici tributari una considerazione maggiore per lo Statuto del Contribuente – pur sempre legge dello Stato – e dei principi in esso contenuti che meriterebbero una valenza costituzionale, purtroppo non riconoscibile in quanto, trattandosi di legge ordinaria, può essere pacificamente derogata da altre leggi di pari rango. Tale lacuna potrebbe essere parzialmente colmata attraverso una giurisprudenza tributaria tesa a spingere il legislatore a “ripensare” la prassi normativa adottata in materia fiscale alla luce delle previsioni dello Statuto.
Venendo, invece, al caso specifico dell’omessa notifica della comunicazione di irregolarità, si ritiene che in sede processuale sia necessario verificare due aspetti fondamentali.
In primo luogo, non si può prescindere da una attenta valutazione delle modifiche normative subite dall’art. 25 del D.P.R. 602/73. Ed a tal proposito, in relazione alla sentenza in commento, lo scrivente ritiene di non poter condividere la mancata considerazione, da parte dei Giudici di I° e II° grado, dell’incostituzionalità dell’art. 25 nella precedente formulazione laddove non prevedeva un termine di decadenza per la notifica della cartella esattoriale.
In secondo luogo, bisogna prendere in considerazione l’inciso dell’art. 6, comma 5 della L. 212/2000 che recita “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”(13). Autorevole dottrina(14) ha sottolineato la posizione restrittiva della giurisprudenza in relazione al potere di liquidazione degli Uffici Finanziari ex art. 36 bis. Esso, infatti, è stato riconosciuto sussistente soltanto in presenza di indebite deduzioni e detrazioni rilevabili icto oculi a seguito di controllo formale e, contemporaneamente, tale potere è stato escluso laddove fosse stato necessario procedere all’interpretazione di norme giuridiche e/o alla valutazione di eventuale documentazione. Conseguentemente, i casi oggetto di rettifica sono quelli tassativamente previsti e qualificati come “eccezionali” dalla Corte Costituzionale nei quali, in assenza di una formale istruttoria e, quindi, di una concreta “valutazione giuridica” non sussiste un rigoroso obbligo di motivazione alla stregua degli atti di accertamento nei quali viene, invece, seguito un preciso percorso logico-giuridico(15). Infatti, non a caso, la norma relativa alla liquidazione delle imposte è stata tenuta al di fuori del capo relativo alla disciplina dell’accertamento.
Sostanzialmente, quindi, tali rettifiche – nella stragrande maggioranza dei casi – riguardano errori materiali e/o di calcolo oppure di mancato rispetto di norme procedurali e sostanziali in materia tributaria che ai fini della legittimità della pretesa erariale non necessitano né di una convocazione del contribuente, né di una motivazione, essendo richiesta solo una normale diligenza da parte di quest’ultimo per effettuare un elementare controllo della correttezza dei valori inseriti nella dichiarazione dei redditi, della loro somma algebrica e del rispetto della normativa tributaria in materia di detrazioni, deduzioni, crediti d’imposta, nonché della congruità e tempestività dei versamenti effettuati.
Quindi, il principio generale “Lex ignorantiam non excusat” dovrebbe essere più che sufficiente a giustificare l’operato dell’Amministrazione Finanziaria, laddove liquidi una dichiarazione dei redditi che – va ribadito – consiste in un mero controllo formale, nonché una verifica del rispetto delle norme tributarie ad esso riferite nelle ipotesi tassativamente indicate dal legislatore.
Per tale motivo nell’art. 36 bis del DPR 600/73 non è stato previsto alcun obbligo di notifica rituale della comunicazione d’irregolarità o di motivazione esplicita in quanto relativamente a questa tipologia di controlli, “dubbi o incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, nella generalità dei casi, non sussistono(16).
Inoltre, considerata la discrezionalità “tecnica” dell’Amministrazione Finanziaria in merito alle valutazioni su ciò che possa qualificarsi “incertezza” e quali possano considerarsi “aspetti rilevanti”, si dovrebbe escludere la possibilità di un “sindacato intrinseco” da parte del giudice tributario che finirebbe per sostituirsi al potere amministrativo (valutativo e quindi discrezionale) spettante ex lege all’Agenzia delle Entrate(17).
Oltretutto, in mancanza di una norma di coordinamento tra l’art. 36 bis DPR 600/73 e l’art. 6 dello Statuto del Contribuente non può ritenersi condivisibile un eventuale annullamento della conseguente cartella di pagamento, in assenza di una specifica ed esplicita previsione normativa(18).
Da ultimo, premesso che lo Statuto si pone quale linea guida nell’interpretazione ed applicazione della normativa tributaria(19) laddove all’art. 10 esso prevede il “principio della tutela dell’affidamento e della buona fede”, appare legittimo ritenere che se tale principio valga nei confronti dell’Amministrazione Finanziaria, altrettanto debba accadere nei confronti del  contribuente. Conseguentemente, un’eventuale sanzione di nullità di una cartella di pagamento (ripetuta iuvant, priva di dubbi o incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione) farebbe ricadere su di un soggetto incolpevole (Amministrazione Finanziaria) gli effetti dell’errore del contribuente, il quale, addirittura, potrebbe giovarsi dell’annullamento di un debito d’imposta dallo stesso dichiarato e, quindi, implicitamente ammesso come dovuto all’Erario, ma solo erroneamente autoliquidato(20). E tutto ciò comporterebbe una violazione del principio di capacità contributiva sancito dall’art. 53 della Costituzione, oltre che dei principi di buona fede e correttezza previsti dallo Statuto del Contribuente volti alla tutela di un prelievo rapportato ad effettivi indici  di capacità contributiva, di un’adeguata tutela degli interessi dell’Erario e, soprattutto, dello spirito di lealtà e di collaborazione tra le parti che deve accompagnare il rapporto giuridico d’imposta.
In conclusione, a parere dello scrivente, al contribuente può sempre essere riconosciuto il beneficio del pagamento delle sanzioni ridotte (ossia quello che avrebbe goduto se avesse ricevuto la comunicazione di irregolarità)(21), ma non può assolutamente condividersi un giudicato che comporti la nullità della cartella di pagamento.

Si riporta il testo della Sentenza.

Svolgimento del processo
Il contribuente ALFA propose distinti ricorsi avverso due cartelle esattoriali, e precisamente la n. xxxx (riferita all'anno di imposta 1998) e la n. yyyy (riferita all'anno di imposta 1999), entrambe emesse dall'Agenzia delle Entrate – Ufficio delle Entrate di Benevento in seguito al controllo formale delle dichiarazioni dei redditi operato ai sensi dell'art. 36 bis del DPR 600/73 e notificate dal Concessionario della Riscossione di Benevento SARI SPA Riscossioni.
Nei ricorsi veniva eccepita in via preliminare la decadenza e la prescrizione dei termini posti a carico dell'amministrazione finanziaria per l'iscrizione a ruolo, previsti dall'art. 36 bis del DPR 600/73.
Veniva poi contestata la tardiva notifica della cartella esattoriale da parte del Concessionario della riscossione.
Veniva poi eccepita la violazione delle norme procedurali inerenti le iscrizioni a ruolo operate in seguito al controllo formale delle dichiarazioni nonché delle norme contenute nello statuto del contribuente, evidenziando che l'ufficio, prima dell'iscrizione a ruolo aveva l'obbligo di notificare alla contribuente un avviso od invito di pagamento.
Sosteneva quindi che, in mancanza di tale adempimento, le cartella esattoriali impugnate dovevano ritenersi illegittime per il mancato rispetto delle norme richiamate, richiamando in tal senso giurisprudenza favorevole.
Veniva poi eccepita la carenza di motivazioni delle cartelle esattoriali, sostenendo che tali atti erano sprovvisti di tutti gli elementi previsti dalla legge ed, in assenza delle motivazioni poste a base della pretesa erariale, il contribuente non era stato posto in grado di esperire una valida difesa.
Veniva infine eccepita la falsa ed erronea applicazione delle sanzioni.
I ricorsi venivano conclusi con la richiesta di integrale annullamento delle cartelle esattoriali in contestazione.
Non risultava la costituzione in giudizio del Concessionario della riscossione.
Con proprie controdeduzioni si costituiva in giudizio l'Ufficio delle Entrate di Benevento, deducendo la legittimità delle iscrizioni a ruolo, rese esecutive nel rispetto dei termini previsti dalla legge, precisando che trattavasi di iscrizioni derivanti dai mancato versamento delle imposte dovute con la dichiarazione dei redditi.
Sosteneva inoltre di avere regolarmente notificato al Cliente gli avvisi di pagamento precedentemente alle cartelle in contestazione e che, comunque, nessuna norma prevedeva quell'adempimento a pena di nullità delle cartelle.
Concludeva chiedendo il rigetto del ricorso.
Nelle more del giudizio il contribuente presentava distinte istanze di definizione delle liti fiscali pendenti previste ai sensi dell'art. 16 della legge 289/02, effettuando il versamento della prima rata delle imposte dovute per la definizione.
Tali istanze venivano rigettate dall'ufficio che notificava al contribuente due provvedimenti di diniego della definizione richiesta.
Avverso tali provvedimenti di diniego il contribuente produceva due distinti ricorsi, chiedendo il riconoscimento della legittimità della definizione delle liti, sostenendo che la legge agevolativa prevedeva la possibilità di definire qualsiasi atto impositivo, quindi anche la cartella esattoriale che rappresentava la prima richiesta impositiva notificata al contribuente.
Sosteneva inoltre che le cartelle in contestazione erano scaturite in seguito a correzioni effettuate dall'ufficio rispetto ai dati dichiarati nelle dichiarazioni, dovevano pertanto considerarsi atti impositivi a tutti gli effetti e non meri atti di riscossione.
Concludeva con la richiesta di accoglimento dei ricorsi e di voler dichiarare la cessazione della materia dei contendere per intervenuta definizione ai sensi dell'art. 16 della legge 289/02.
Resisteva l'ufficio delle Entrate sostenendo che le liti fiscali instaurate avverso le cartelle esattoriali non potevano essere considerate definibili ai sensi dell'art. 16, sia perché rappresentavano atti di mera riscossione che perché le suddette liti non risultavano pendenti alla data del 31/12/2003, concludendo con la richiesta di rigetto dei gravami.
L'adita Commissione Tributaria Provinciale di Benevento, previa riunione di tutti e quattro i ricorsi, con la sentenza ora impugnata, li respingeva totalmente.
l Primi Giudici ritenevano che le iscrizioni a ruolo erano state rese esecutive dall'ufficio nei termini previsti dall'art. 17 del DPR 602, ritenendo quindi che l'Amministrazione Finanziaria non fosse decaduta dal diritto di richiedere il pagamento delle imposte ritenute evase dal contribuente.
Ritenevano altresì che relativamente agli atti in contestazione, "ragione temporis" per l’effetto delle modifiche normative apportate all'art. 25 del DPR 602/73, non vi era un termine stabilito per la notifica delle cartelle esattoriali in questione.
Ritenevano, infine, che le iscrizioni a ruolo in contestazione erano da ritenersi atti di mera riscossione, emessi dall'ufficio senza alcuna espressione di potere discrezionale, in quanto riflettenti omessi versamenti di imposta, e come tali non rientranti tra le liti fiscali definibili ai sensi dell'art. 16 della legge 289/02.
Avverso tale sentenza proponeva appello il contribuente chiedendone la totale riforma richiamandosi integralmente ai motivi dedotti nel ricorso introduttivo, chiedendo contestualmente la sospensione della riscossione.
Veniva eccepito che la sentenza si palesava carente di motivazioni ed errata nei suoi presupposti di  fatto e di diritto, oltre che viziata da omessa pronuncia sulle principali eccezioni del contribuente.
Veniva contestato che non era stata considerata l'eccepita carenza di motivazioni nonché la mancata notifica dell'avviso di pagamento precedente alle cartelle esattoriali, sostenendo in tal senso che nessuna reale prova era stata fornita dall'ufficio.
Insisteva nel sostenere l'intervenuta decadenza e prescrizione dei termini, sia per l'emissione dei ruoli che per la successiva notifica delle cartelle da parte del concessionario.
Con ampia dissertazione, infine, contestava il mancato riconoscimento della legittimità delle istanze di definizione delle liti fiscali pendenti prodotte ai sensi della legge 289/02.
In tal senso sosteneva che le cartelle non riflettevano solo presunti omessi versamenti, ma anche l'esercizio da parte dell'ufficio dei poteri di controllo e rettifica, in quanto le imposte richieste in pagamento non riflettevano i dati dichiarati nelle dichiarazioni, sostenendo che tale circostanza comprovava il fatto che l'ufficio aveva modificato tali dati.
Sosteneva pertanto che le cartelle esattoriali dovevano considerarsi atti impositivi a tutti gli effetti e, come tali, regolarmente rientranti tra quelli definibili mediante lo strumento agevolativo delle liti fiscali pendenti indicate nell'art. 16 della legge citata.
Concludeva con la richiesta di voler considerare validi i condoni proposti ed in via subordinata di voler annullare le cartelle esattoriali per carenza di motivazioni e violazione delle norme procedurali inerenti le iscrizioni a ruolo.
Anche nel secondo Grado di Giudizio non risultava la costituzione in giudizio del Concessionario della riscossione.
L'Ufficio delle Entrate di Benevento, con proprie controdeduzioni, resisteva all'appello del contribuente chiedendone il rigetto, richiamandosi integralmente ai motivi già dedotti in primo grado e già ritenuti validi dai Giudici di Prime cure.
Insisteva nell'evidenziare che le iscrizioni a ruolo in contestazione riflettevano omessi versamenti di imposte dichiarate dal contribuente nelle proprie dichiarazioni dei redditi e che, pertanto, le relative controversie non potevano essere definite ai sensi dell'art. 16 della legge 289/02.
Sosteneva inoltre che trattandosi di iscrizioni a ruolo operate ai sensi dell'art. 36 bis del DPR 600/73 non era necessaria una motivazione esplicita contenuta nella cartella, e che, in ogni caso l'obbligo di motivazione era stato assolto con le precedenti notifiche al contribuente, a mezzo di raccomandate postali n. XXXX del 13/12/2000 (per l'anno 1998) e n. YYYY del 06/12/2000 (per l'anno 1999), degli avvisi di pagamento, che erano stati ignorati dal contribuente.
Concludeva l'ufficio con la richiesta di voler integralmente confermare le iscrizioni a ruolo in contestazione.
Con successive note del 11/07/2006 lo stesso ufficio chiedeva il rigetto della richiesta di sospensione, deducendone l'inammissibilità innanzi al Giudice di Secondo Grado, nonché l'assenza dei requisiti espressamente previsti dalla legge.
Alla precedente udienza del 20/02/2007 la Commissione rigettava l'istanza di sospensione della riscossione chiesta dal contribuente, per assenza dei requisiti previsti dalla legge, rinviando in prosieguo la decisione di merito.
Con successive memorie il contribuente insisteva nella richiesta di accoglimento del proprio gravame, insistendo nell'eccepire la nullità delle cartelle esattoriali per violazione dell'art. 6 della legge 212/00, per non essere stati preceduti tali atti dal prescritto invio della comunicazione di irregolarità prevista da tale legge, richiamando in tal senso ampia giurisprudenza favorevole.
Lo stesso contribuente insisteva inoltre nell'evidenziare che tali cartelle esattoriali erano scaturite dal controllo effettuato dall'ufficio che aveva modificato i dati dichiarati in dichiarazione dal contribuente, di conseguenza le stesse cartelle dovevano ritenersi quali atti impositivi definibili ai sensi dell'art. 16 della legge 289/02 e, di conseguenza, dovevaessere dichiarata l'estinzione del giudizio per intervenuto condono.

Motivi della decisione
Osserva il Collegio che, prima dell'esame di merito, deve essere valutata la contestazione inerente la validità o meno delle istanze di condono presentate dal contribuente.
In tal senso si rileva che pur dovendosi condividere, in linea di principio, l'assunto del contribuente, riguardo alla definibilità ai sensi del richiamato art. 16 della L. 289/02delle cartelle esattoriali, avuto riguardo alla loro natura di atti impositivi, nella fattispecie non ricorrono tutti i presupposti previsti dalla stessa norma acchè tali cartelle in contestazione possano essere ritenuti condonabili.
Infatti dette cartelle risultano emesse in seguito alla liquidazione delle dichiarazioni dei redditi, e dall'esame delle copie di tali dichiarazione, rispetto ai dati contenuti nelle cartelle medesime, deve rilevarsi che l'ufficio abbia in qualche modo modificato i dati dichiarati, non essendovi corrispondenza tra le dichiarazioni e i dati contenuti nelle cartelle.
Quindi, come sopra descritto, in linea di principio, le cartelle esattoriali de qua devono ritenersi atti impositivi emessi dall'ufficio e non meri atti di riscossione, di conseguenza potevano essere definite ai sensi dell'art. 16 citato.
Di contro deve rilevarsi che lo stesso art. 16 della legge 289/02 disponeva, chiaramente, che le liti fiscali che potevano essere definite erano quelle pendenti alla data del 01/01/2004.
Come chiaramente indicato negli atti di diniego di condono, emessi dall'ufficio ed oggetto della preliminare contestazione, uno del motivi del diniego era proprio costituito dal fatto che le liti fiscali instaurate avverso le cartelle esattoriali non erano pendenti alla data indicata.
Tale mancanza di pendenza del giudizio alla data dei 01/01/2004determina l'inammissibilità delle domande di condono presentate dal contribuente ed il conseguente rigetto, su tale punto della contestazione, dell'appello di parte.
Le somme pagate a tal fine dal contribuente potranno essere oggetto di eventuale richiesta di rimborso all'Amministrazione Finanziaria, atteso l'avvenuto rigetto delle domande di condono, e, soprattutto, che in caso contrario si verificherebbe un indebito arricchimento delle Casse dell'Erario.
Tanto premesso la Commissione ritiene di dover procedere all'esame delle contestazioni di diritto e di merito inerenti i ricorsi prodotti avverso le cartelle esattoriali.
In tal senso il Collegio ritiene, in via principale, relativamente alle eccezioni di decadenza e prescrizione dei termini, di condividere le motivazioni dei giudici di Primo Grado, ritenendo che le iscrizioni a ruolo siano state rese esecutive dall'ufficio nel rispetto dei termini di decadenza previsti dalla normativa vigente all'epoca delle stesse.
Parimenti deve ritenersi che le relative cartelle esattoriali siano state notificate dal Concessionario nei termini previsti dalla legge.
Per quanto riguarda invece l'eccepita carenza di motivazioni delle cartelle e l’eccepita violazione delle norme procedurali propedeutiche all'emissione delle contestate cartelle esattoriali, questa Commissione ritiene fondato l'appello di parte e, come tale, meritevole di accoglimento.
In tal senso si rileva che tali atti impositivi risultano provvisti esclusivamente della indicazione delle maggiori imposte richieste in pagamento oltre relativi interessi e sanzioni.
In mancanza di altri elementi il contribuente non è stato posto in grado di capire i motivi da cui sono scaturite le iscrizioni a ruolo, né l'ufficio, in questa sede contenziosa, ha ritenuto di chiarire tali motivi, limitandosi a sostenere che si trattava di omesso versamento delle imposte autodichiarate, mentre invece le cartelle risultano avere importi di imposta superiori a quelli dichiarati dal contribuente, come è dato rilevare dalle copie delle dichiarazioni allegate, limitandosi quindi a sostenere genericamente la fondatezza della pretesa impositiva.
In un sistema che impone all'ufficio impositore che avanza la richiesta di una maggiore imposta l'onere della prova, la mancanza di ogni riscontro documentale, o di fatto, alle ipotesi formulate, non può portare che alla insussistenza delle stesse.
Non può certamente condividersi in tal senso l'affermazione dell'ufficio secondo la quale una cartella esattoriale derivante dalla liquidazione formale della dichiarazione dei redditi possa essere impunemente sprovvista di adeguata motivazione. Tale carenza di motivazioni risulta ancor più aggravata dalla eccepita mancata notifica dell'avviso o dell'invito di pagamento.
In tal senso deve rilevarsi che l'ufficio si è limitato ad affermare di avere regolarmente predisposto e notificato al contribuente tali propedeutici avvisi di pagamento, richiamando due raccomandate postali che sarebbero state recapitate al contribuente medesimo, senza però fornire alcuna valida prova dell'effettiva avvenuta notifica dei predetti avvisi di pagamento.
Né possono ritenersi valida prova gli elaborati meccanografici allegati alle deduzioni prodotte in Primo Grado, risultando tali elaborati atti interni dell'amministrazione senza alcun valore di prova avente rilevanza esterna, laddove l'ufficio avrebbe dovuto depositare innanzi a questa Commissione i relativi avvisi di ricevimento delle predette raccomandate sottoscritte dal contribuente o da altra persona atta a ricevere notifiche in sua vece.
Stante l'avvenuta soppressione del comma 3 dell'art. 7 dei D. Lgs. 546/92 che, di fatto, impedisce al Giudice di disporre ulteriori istruttorie per l'acquisizione di documenti che le parti processuali avrebbero dovuto depositare prima dell'udienza, si deve quindi necessariamente ritenere che le cartelle de qua rappresentano la prima richiesta riferita alla pretesa impositiva in contestazione.
Sull'importanza del rispetto delle norme procedurali prima dell'emissione di una cartella esattoriale deve evidenziarsi che la predetta preventiva notifica dell'avviso di pagamento è espressamente prevista dall'art. 6, comma 5, della legge 212/00 che sancisce che" Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione dì tributi risultanti da dichiarazioni,…………………………….,  l’Amministrazione Finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell'ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non é tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma".
Se tale adempimento fosse stato posto in essere dall'ufficio, il contribuente avrebbe potuto conoscere i motivi della pretesa erariale e, di conseguenza contestarli nella presente impugnazione della cartella esattoriale.
Ne consegue la nullità della cartella esattoriale, priva di qualsiasi indicazione a sostegno della fondatezza dell'iscrizione a ruolo, tale da non consentire lo svolgimento di adeguate difese da parte della contribuente, con palese violazione del relativo diritto sancito dalla Costituzione.
Deve quindi essere dichiarata l'illegittimità totale delle cartelle esattoriali in contestazione per omessa notifica della preventiva comunicazione di irregolarità con la conseguente evidente carenza di motivazione della cartella esattoriale in contestazione.
Si ritiene, infine, vista la natura della controversia, che nella fattispecie sussistano giusti motivi per poter dichiarare compensate le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie per quanto di ragione l'appello del contribuente e, per l'effetto, in riforma della sentenza di Primo Grado annulla le iscrizioni a ruolo in contestazione. Compensa le spese.

Note
(1) A tal proposito si riporta il testo dell’art. 7 dello Statuto del Contribuente rubricato “Chiarezza e motivazione degli atti”: “1. Gli atti dell'amministrazione finanziaria sono motivati secondo quanto prescritto dall'articolo 3 della legge 7 agosto 1990, n. 241, concernente la motivazione dei provvedimenti amministrativi, indicando i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche che hanno determinato la decisione dell'amministrazione. Se nella motivazione si fa riferimento ad un altro atto, questo deve essere allegato all'atto che lo richiama.
2. Gli atti dell'amministrazione finanziaria e dei concessionari della riscossione devono tassativamente indicare:
a) l'ufficio presso il quale e' possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato e il responsabile del procedimento; b) l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali e' possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela; c) le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale o l'autorità amministrativa cui e' possibile ricorrere in caso di atti impugnabili.
3. Sul titolo esecutivo va riportato il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero, in mancanza, la motivazione della pretesa tributaria.
4. La natura tributaria dell'atto non preclude il ricorso agli organi di giustizia amministrativa, quando ne ricorrano i presupposti.”
(2) Il soppresso art. 7, comma 3 del D. Lgs. 546/1992 così recitava: “E’ sempre data alle Commissioni Tributarie la facoltà di ordinare alle parti il deposito di documenti ritenuti necessari per la decisione della controversia.
(3) Anche se, a contrario, si può ritenere che i giudici tributari abbiano la possibilità di richiedere ulteriore documentazione – seppur nei limiti dei fatti dedotti dalle parti – ai sensi degli artt. 210 e 213 c.p.c..
(4) Si veda anche la sentenza CTR Lazio n. 6 del 28/01/2003, laddove è stato affermato che: “…la natura perentoria del termine previsto dall’art. 25 del DPR 602/73 può ricavarsi anche da elementi testuali e di principio generale. In conformità a questi ultimi deve rilevarsi che i termini di decadenza devono ritenersi di stretta interpretazione soprattutto nell’ambito del diritto pubblico, caratterizzato dalla presenza di poteri il cui esercizio non è libero, ma sottoposto dalla legge ai limiti diretti a garantire il soddisfacimento di finalità di carattere istituzionale. Peraltro, quand’anche un termine possa essere considerato ordinatorio, scatterebbe la previsione dell’art. 153 C.p.c. e l’eventuale proroga dovrebbe essere concessa e richiesta prima dell’estinzione del termine originario, diventando, in mancanza, il termine stesso di fatto perentorio. Da un punto di vista testuale la natura cogente del termine recato dall’art. 25 del D.P.R. 602/73 può ricavarsi ex adverso dalle modifiche intervenute nella stesura dello stesso, che possono ritenersi effettuate anche sulla pressione dei concessionari della riscossione, coscienti delle difficoltà insite nel ristretto termine concesso. Infatti con due successivi interventi legislativi, dapprima il termine fu ampliato a 4 mesi dal D. Lgs. 46/1999 e poi definitivamente soppresso dal D. Lgs. 193/2001. Deve quindi ritenersi, per il principio del tempus regit actum, che il termine previsto dal suddetto art. 25 avesse quindi carattere sicuramente cogente e perentorio”.
(5) Si veda la Sent. Cassazione, Sez. tributaria, 30 novembre 2005, n. 26105. A rigore, con la sentenza n. 280/2005 l'illegittimità dell'art. 25 avrebbe dovuto travolgere tutte le procedure svoltesi in assenza di un termine decadenziale, con annullamento di tutte le cartelle e possibilità di rinnovo solo per quelle ancora legittimamente emanabili dopo la sentenza. In realtà, secondo la Cassazione (che ricostruisce in modo convincente il percorso logico e la portata del dispositivo della sentenza 280), la Corte costituzionale ha impostato la sua declaratoria di incostituzionalità sulla premessa che un termine non potesse mai mancare, espressamente invitando il legislatore a stabilire, ora per allora, un termine compatibile con le indicazioni di ragionevolezza tracciate nella sentenza. In sostanza, un sistema in cui manchino termini per la notifica non dà luogo ad una lacuna che inficia i procedimenti ad esso ispirati, ma evidenzia un assurdo giuridico cui necessariamente va posto rimedio, recuperando ex post la scansione temporale vincolante.
(6)  Si rinvia al punto 4.2 della citata sentenza 280.
(7) Per un approfondimento si rinvia a “Dubbi sulla disciplina transitoria conseguente alla riforma dei termini di notifica della cartella di pagamento” di Basilavecchia M. in Rivista di Giurisprudenza Tributaria n. 2 /2006, pag. 121.
(8) Si veda F. Tesauro, Istituzioni di Diritto Tributario, Parte Generale, UTET Milano, 2006, pag. 191 e ss.
(9) Per un approfondimento si rinvia al D. Lgs 241 del 9 luglio 1997, alla Circolare n. 100 del 18 maggio 2000 e n. 68 del 16 luglio 2001. A proposito delle modifiche introdotte dal D. Lgs. 241/97 si rinvia a P. Coppola, La liquidazione dell’imposta dovuta ed il controllo formale della dichiarazione” in Rassegna Tributaria, 1997, pg. 1475 ed S. Rinaldi, Profili ricostruttivi della liquidazione d’imposta, Trieste, 2000 pag. 203 e ss..
(10)  Cfr. l’art. 28 della L. 449/1997 che chiarisce la natura ordinatoria e non perentoria di tale termine, con norma di interpretazione autentica. Si veda anche R. Lupi, op. cit., pag. 132 che precisa: “I termini previsti dagli artt. 36 bis e 36 ter per velocizzare le operazioni di liquidazione, in modo da lasciare tempi adeguati per i successivi controlli di merito non sono dettati a favore del contribuente, ma della sollecitudine dell’attività amministrativa: il contribuente potrà quindi lamentare solo la violazione dei termini di notifica della iscrizione a ruolo eventualmente disposta a seguito dei controlli ex artt. 36 bis e 36 ter”.
(11) A tal proposito R. Lupi, op. cit, pag. 131 chiarisce che: “Le richieste di cui all’art. 36 ter danno luogo ad una <comunicazione > analoga a quella che abbiamo descritto per il 36 bis e sul cui valore giuridico sussistono le stesse perplessità di inquadramento come atto impugnabile ovvero come mera comunicazione preliminare, con preferenza per  questa seconda soluzione”.
(12) Autorevole dottrina si è espressa in merito. Tra gli altri, si legga Capolupo S. in “Manuale dell’Accertamento”, Ipsoa Editore, 2003, pag. 2136 e ss., Grippa Salvetti M.A., Lo Statuto dei diritti del contribuente tra valore formale e portata interpretativa, in Rass. trib. n. 5/2004, p. 1719; Lombardi S., Statuto dei diritti del contribuente e teoria delle fonti, in Riv. Dir. Trib. n. 2/2005, p. 165; Marino G., Lo Statuto dei diritti del contribuente a cinque anni dalla sua istituzione, in Rass. Trib. n. 2/2006, p. 460; Marongiu G., Lo Statuto dei diritti del contribuente nella quinquennale esperienza giurisprudenziale, in Dir. e pr. trib. n.5/2005, p. 1007; Marongiu G., La produzione di norme tributarie e l’elusione dei principi costituzionali, in Riv.  dir. trib. n. 9/2006, p. 589 e da ultimo R. Perrone Capano, Illusionismo finanziario e crisi della democrazia parlamentare tra aumento della spesa pubblica, crescita dissimulata delle imposte e relativi tesoretti virtualiin  Innovazione e Diritto n. 6/2007.
(13) Si riporta il testo della L. 212/2000, art. 6, comma 5: “Prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto. La disposizione non si applica nell'ipotesi di iscrizione a ruolo di tributi per i quali il contribuente non e' tenuto ad effettuare il versamento diretto. Sono nulli i provvedimenti emessi in violazione delle disposizioni di cui al presente comma”.
(14) Capolupo S., Manuale dell’accertamento delle imposte, IPSOA, 2003, pag 205; Orlandi Cantucci A. “Interpretazione  autentica dell’art. 36 bis del DPR 600/73” in Il Fisco, 1998, n. 6, pag. 2033.
(15) Cfr. la Sent. CTC, Sez. I del 9 febbraio 1989, n. 1025  in Boll. Trib. n. 8/1990, pag. 624 laddove si sosteneva che la liquidazione delle imposte dovute in base alle dichiarazioni ex art. 36 bis è stata inserita nel nostro ordinamento per consentire agli uffici di determinare l’importo delle imposte dirette ed esigerne il pagamento senza prima avvisare il contribuente in alcuni casi tassativamente indicati, senza procedere all’accertamento dell’esistenza o della consistenza di valori imponibili. Conseguentemente, nessuna motivazione è richiesta per siffatta liquidazione, come affermato dalla Corte Costituzionale che nell’ordinanza n. 430 del 1988 riteneva infondato il dubbio di legittimità costituzionale dell’art. 36 bis in relazione agli artt. 3, 24, 53 e 113 Cost..
(16) Si veda la Sent. Cass., sez. 1, del 15.09.99 n. 9818 di cui si riporta la massima “La previsione dell'art. 36 bis, secondo comma, del D.P.R. n. 600 del 1973, introdotta dall'art. 2 del D.P.R. 24 dicembre 1976, n. 920 allo scopo di rendere possibile la più sollecita correzione da parte dell'Ufficio, degli errori individuabili nella dichiarazione sulla scorta di un mero controllo formale, ha carattere eccezionale, e non tollera applicazione estensiva a ipotesi diverse da quelle tassativamente indicate dal legislatore. Perciò a tale strumento non può fare ricorso l'Amministrazione ogniqualvolta sia necessario procedere, al di là del mero riscontro cartolare, ad attività di valutazione giuridica ai fini dell'interpretazione del dato normativo, della qualificazione di fatti o di rapporti fiscalmente rilevanti, della soluzione di questioni di imponibilità o di deducibilità o relative all'applicabilità di norme di esenzione o di agevolazione” e da ultimola Sent. Cass. del 11-06-2007, n. 13581
(17) Vedasi G. Palumbo “Effetti Giuridici della omessa comunicazione di irregolarità” in Fisco Oggi del 19.09.2007.
(18) Infatti, il comma 3 dell’art. 36 bis – pur sempre norma sostanziale di disciplina della fattispecie – in caso di omissione della comunicazione non prevede alcuna sanzione di nullità degli atti. Si riporta il testo: “3. Quando dai controlli automatici eseguiti emerge un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione, ovvero dai controlli eseguiti dall'ufficio, ai sensi del comma 2-bis, emerge un'imposta o una maggiore imposta, l' esito della liquidazione è comunicato al contribuente o al sostituto d' imposta per evitare la reiterazione di errori e per consentire la regolarizzazione degli aspetti formali. Qualora a seguito della comunicazione il contribuente o il sostituto di imposta rilevi eventuali dati o elementi non considerati o valutati erroneamente nella liquidazione dei tributi, lo stesso può fornire i chiarimenti necessari all'amministrazione finanziaria entro i trenta giorni successivi al ricevimento della comunicazione.”
(19) La Cassazione già nel 2001 (Sent. n. 4760 del 30-03-2001) aveva stabilito che il citato articolo 6, inquadrato nella enunciazione di cui all'articolo 1 secondo il quale le disposizioni dello Statuto costituiscono principi generali dell'ordinamento tributario, tendenti ad attuare gli articoli 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, assume un inequivocabile valore interpretativo perché si tratta di un “principio che deve aiutare l'interprete a ricavare dalle norme il senso che le renda compatibili con i principi costituzionali citati”.
(20) Si tenga presente che la Cassazione con Sent. n. 1648 del 20.08.04 ha affermato che “la dichiarazione tributaria è atto attuativo della legge tributaria e produce di per sé un effetto di liquidazione delle imposta, rispetto al quale l’eventuale ulteriore liquidazione dell’Ufficio, a seguito del potere di accertamento formale automatizzato ex art. 36 bis del DPR 600/73, non innova se non per la correzione degli errori materiali e di calcolo, tant’è vero che il comma 4 dello stesso articolo adotta il principio dell’imputazione diretta della liquidazione al dichiarante.”.
(21) In tal senso, vedasi anche la Sent. CTP di Salerno n. 8 del 19.02.2005.

 di Alessandro Saccone